La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente l’esimente del diritto di cronaca nella pubblicazione di un articolo con riguardo la verità della notizia divulgata. Il principio della verità della notizia è strettamente collegato all’esercizio del diritto di cronaca.
Da tale circostanza, ovvero qualora il contenuto dell’articolo integri gli estremi del reato di diffamazione a mezzo stampa, scaturisce la domanda risarcimento dei danni non patrimoniali arrecati all’onore e alla reputazione.
Al vaglio della Corte di legittimità si sottopone la questione se possa integrare gli estremi della diffamazione la pubblicazione di un articolo in cui si riporta una notizia inesatta, consistente nell’erronea indicazione di una fattispecie di reato per un’altra.
La sentenza impugnata, infatti, si è richiamata al principio secondo cui, quando un giornalista, nel narrare un fatto di cronaca vero nei suoi aspetti generali, riferisca una circostanza inesatta, tale fatto non è di per sé produttivo di danno, occorrendo stabilire caso per caso, con giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente e logicamente motivato, se la discrasia tra la realtà oggettiva ed i fatti così come esposti nell’articolo abbia effettivamente la capacità di offendere l’altrui reputazione, senza che assuma rilievo quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale, atteso che il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo (così Cass. Sez. 3, Ord., n. 11233/2017).
Si tratta, peraltro, di principio costante nella giurisprudenza di legittimità, che ha ripetutamente escluso che la verità della notizia sia “scalfita peraltro da inesattezze secondarie o marginali, inidonee a determinarne o ad aggravarne la valenza diffamatoria” (così già Cass. Sez. 3, n. 6041/1997; ma nello stesso senso, successivamente, Cass. Sez. 3, n. 22190/2009; Cass. Sez. 3, n. 23468/2010; Cass. Sez. 3, n. 18264/2014).
Inoltre, costituisce consolidato principio quello secondo cui, “in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione” (così, Cass., Sez. 3, Ord., n. 6133/2018; in senso conforme, tra le più recenti, Cass. Sez. 3, Ord. n. 13520/2017; Cass. Sez. 3, n. 15759/2015; Cass. Sez. 3, n. 80/2012).
Di conseguenza, il “controllo affidato al giudice di legittimità è dunque limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie, nonché al sindacato della congruità e logicità della motivazione, secondo la previsione dell’art. 360, comma 1, n. 5) C.p.C.“, …. mentre resta “del tutto estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione, non potendo la Corte di Cassazione sostituire il proprio giudizio a quello del giudice di merito in ordine a tale accertamento” (così, Cass. Sez. 3, Ord. n. 6133 del 2018).
Corte di Cassazione Civile Ord. Sez. 3 Num. 12903 Anno 2020