La vendita di prodotti industriali con segni mendaci viene espressamente disciplinata nel codice civile all’art. 517, il quale, nell’unico comma, punisce:
“Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000“.
Nell’art. 517 C.p. vengono in rilievo due condotte alternative.
In relazione alla condotta principale prevista dalla disposizione, quella di “messa in vendita“, va osservato che la stessa deve ritenersi configurata sul piano giuridico da ogni tipo di offerta in vendita, sia essa concretamente riferita a singole merci, attraverso la predisposizione di locali o meccanismi di vendita, o a un’intera categoria di merci.
Ciò può avvenire attraverso l’offerta in vendita a mezzo della diffusione di un catalogo, nella forma cartacea di un depliant, o in altra forma, anche elettronica.
Quanto a tale ultima modalità di offerta in vendita, la linea di confine fra il tentativo e il reato consumato deve essere individuata nell’effettiva diffusione del catalogo, con cui si realizza l’offesa al bene giuridico tutelato dalla disposizione, che è rappresentato dalla genuinità dell’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto. Prima di tale momento, la mera realizzazione di un catalogo non ancora diffuso, ma potenzialmente destinato alla diffusione, configura, dunque, la fattispecie tentata. Non è dunque necessario, ai fini della sussistenza del reato consumato, che alla riscontrata circolazione del catalogo seguano concreti atti di alienazione di prodotti, ordini o accordi per la vendita o che sia provata l’effettiva detenzione in capo all’imputato delle merci rappresentate nel catalogo, giacché, se il legislatore avesse voluto limitare la rilevanza penale a tali fattispecie, si sarebbe riferito alla vendita e non alla messa in vendita. E quest’ultima, come visto, può svolgersi con una pluralità di modalità e non presuppone la disponibilità attuale delle merci in capo al venditore, perché è sufficiente che questo le produca o se le procuri per il successivo momento della “vendita” in senso stretto. (in motivazione Cassazione n. 11630/2021).
Quanto alla condotta descritta con la locuzione “mette altrimenti in circolazione“, deve ritenersi che essa si riferisce a qualsiasi attività con cui si mira a far uscire a qualsiasi titolo la res dalla sfera giuridica e di custodia del detentore, tanto che si è inteso che la stessa comprenda anche la mera presentazione alla dogana di prodotti industriali che recano segni atti ad indurre in inganno il compratore sulla loro origine (ex multis, Cass., Sez. 3, n. 1513 del 14/11/2018), così superando un precedente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la presentazione alla dogana di merci con nomi, marchi o segni distintivi atti ad indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità del prodotto, integra il reato di cui all’art. 517 C.p. a livello di tentativo, atteso che la presentazione della merce per lo sdoganamento costituisce atto idoneo a porre in vendita o mettere altrimenti in circolazione i prodotti in questione (Cass., Sez. 3, n. 28372 del 11/07/2006).
Più in generale, si era precedentemente precisato che la messa in commercio doveva essere ritenuta comprensiva delle operazioni di immagazzinamento finalizzato alla distribuzione o della circolazione della merce destinata alla messa in vendita, con esclusione solo della mera detenzione in locali diversi da quelli di vendita o del deposito prima dell’uscita della merce dalla disponibilità del detentore (Cass., Sez. 3, n. 7639 del 25/05/1998). Si tratta, nella struttura del reato configurato dal legislatore, di una condotta avente carattere materiale e residuale, come emerge dall’uso dell’avverbio “altrimenti“, la cui previsione è diretta a colpire le “zone grigie“, nelle quali manchi la prova di un’effettiva messa in vendita.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 11630 Anno 2021