Straniero e la disciplina del matrimonio in Italia

stranieroLa disciplina del matrimonio dello straniero in Italia è prevista dall’art. 116 C.c. Prima della modifica legislativa, intervenuta con la L. n. 94 del 2009, ai sensi di tale norma lo straniero, intenzionato a contrarre matrimonio in Italia, doveva presentare all’ufficiale dello stato civile solo un nulla osta rilasciato dall’autorità competente del proprio Paese.

Oltre al predetto requisito formale, sul piano sostanziale, il nubendo doveva in ogni caso (e deve tuttora) rispettare le condizioni previste dalla normativa italiana riguardanti la capacità di contrarre matrimonio (tra l’altro, libertà di stato, età minima) e l’assenza di situazioni personali ostative (ad esempio, impedimenti per parentela ed affinità).

Si tratta, infatti, di norme di applicazione necessaria secondo l’ordinamento interno, che devono comunque essere osservate, anche se non sono previste dalla legge nazionale dello straniero.

Con la Legge n. 94 del 2009 è stato modificato l’art. 116, primo comma, C.c. La nuova norma stabilisce che “lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all’ufficiale dello stato civile”, oltre al nulla osta, di cui sopra, “un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano“.Tutto ciò al fine di ridurre il fenomeno dei cosiddetti “matrimoni di comodo”.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 245 del 2011 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 116, primo comma, C.c., come modificato dall’art. 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole “nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano“.

Rileva la Corte come 

“la differenza esistente tra il cittadino e lo straniero, consistente nella circostanza che, mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo, può giustificare un loro diverso trattamento nel godimento di certi diritti, in particolare consentendo l’assoggettamento dello straniero a discipline legislative e amministrative ad hoc, l’individuazione delle quali resta collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali quelli concernenti la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione, tuttavia, resta fermo che i diritti inviolabili, di cui all’art. 2 Cost., spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani, di talché la condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi”.

Sebbene, la ratio della disposizione di cui all’art. 116 C.c., così come novellato dalla L. n. 94 del 2009, fosse finalizzata al contrasto dei cosiddetti “matrimoni di comodo”, deve osservarsi come non proporzionato a tale obiettivo si presenti il sacrificio imposto alla libertà di contrarre matrimonio non solo degli stranieri ma, in definitiva, anche dei cittadini italiani che intendano coniugarsi con i primi.

È, infatti, evidente che la limitazione al diritto dello straniero a contrarre matrimonio nel nostro Paese si traduce anche in una compressione del corrispondente diritto del cittadino o della cittadina italiana che tale diritto intende esercitare.

Ciò comporta che il bilanciamento tra i vari interessi di rilievo costituzionale coinvolti deve necessariamente tenere anche conto della posizione giuridica di chi intende, del tutto legittimamente, contrarre matrimonio con lo straniero.

Si impone, pertanto, la conclusione secondo cui la previsione di una generale preclusione alla celebrazione delle nozze, allorché uno dei nubendi risulti uno straniero non regolarmente presente nel territorio dello Stato, rappresenta uno strumento non idoneo ad assicurare un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diversi interessi coinvolti specie ove si consideri che il D.Lgs 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) già disciplina alcuni istituti volti a contrastare i cosiddetti “matrimoni di comodo”.

Ed infatti, in particolare, l’art. 30, comma 1-bis, del citato D.Lgs. n. 286 del 1998 prevede:

  • con riguardo agli stranieri regolarmente soggiornanti ad altro titolo da almeno un anno che abbiano contratto matrimonio nel territorio dello Stato con cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, ovvero con cittadini stranieri regolarmente soggiornanti, che il permesso di soggiorno “è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole”;
  • con riguardo allo straniero che ha fatto ingresso in Italia con visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero con visto di ingresso al seguito del proprio familiare nei casi previsti dall’art. 29, del medesimo D.lgs., ovvero con visto di ingresso per ricongiungimento al figlio minore, che la richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno “è rigettata e il permesso di soggiorno è revocato se è accertato che il matrimonio o l’adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di permettere all’interessato di soggiornare nel territorio dello Stato”.

CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA N. 245 ANNO 2011

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