La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la possibile prospettazione del reato di stalking ai danni di più persone.
Si tratta di affrontare una problematica di diritto parametrata in relazione all’articolo 612 bis C.p., con riflessi, anziché su una sola persona, su una pluralità di individui.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in linea teorica, si tratta di una prospettazione possibile.
Ed invero, integra il delitto di atti persecutori (articolo 612 bis C.p.), la condotta di colui che compie atti molesti ai danni di più persone, costituendo per ciascuna motivo di ansia, non richiedendosi, ai fini della reiterazione della condotta prevista dalla norma incriminatrice, che gli atti molesti siano diretti necessariamente ad una sola persona, quando questi ultimi, arrecando offesa a diverse persone di genere femminile abitanti nello stesso edificio, provocano turbamento a tutte le altre. (Cass., Sez. 5, n. 20895 del 07/04/2011).
Occorre, ovviamente, che siano realizzati tutti elementi, di natura oggettiva e soggettiva, tipici della fattispecie criminosa in questione, nei confronti di ciascuna delle persone offese dal reato.
Con ciò si vuole fare riferimento alla reiterazione di condotte, costituenti minaccia o molestie, etiologicamente connesse alla determinazione, nel soggetto passivo del reato, di un perdurante e grave stato d’ansia o di paura ovvero di un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata affettivamente ovvero di una costrizione a modificare le proprie abitudini di vita.
Ovviamente, trattasi di condotte necessariamente sorrette dall’elemento soggettivo, tipico della fattispecie contestata, che, nel delitto di atti persecutori, è integrato dal dolo generico, consistente nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia, con la consapevolezza dell’idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice; trattandosi di reato abituale di evento, il dolo generico, richiesto dalla norma, dev’essere unitario e indicativo di un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica (Cass., Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014).
Tali assunti comportano necessariamente l’individuazione precisa dei soggetti passivi del reato e la verifica delle condizioni di sussistenza del reato di stalking per ciascuno di loro.
E ciò in considerazione del fatto che, in assenza di tali presupposti, si verterebbe nel campo di operatività, così come sostenuto dalla parte ricorrente, di altre disposizioni penali, quale, per l’appunto, il reato di molestia, realizzabile anche con l’invio di missive anonime al diretto interessato o ad altri.
In quest’ottica è bene distinguere le due fattispecie, essendo il reato di molestia o disturbo alle persone, costituito dalla contravvenzione di cui all’articolo 660 C.p., diretto a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità, attuato mediante l’offesa alla quiete privata, fattispecie distinta, autonoma e, in ipotesi, concorrente rispetto al reato di atti persecutori, di cui all’articolo 612 bis C.p., stante la diversità dei beni giuridici tutelati (Cass., Sez. 1, n. 19924 del 04/04/2014).
Per l’inverso, il delitto di atti persecutori è reato abituale, che differisce dai reati di molestie e di minacce, che pure ne possono rappresentare un elemento costitutivo, per la produzione di un evento di “danno”, consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Cass., Sez. 3, n. 9222 del 16/01/2015), elemento del tutto assente nella prospettazione della contravvenzione, di cui all’articolo 660 C.p.
Proprio tali differenziazioni e tali diversità confermano ulteriormente l’esigenza di una verifica, da effettuarsi su piano individuale, inerente a ciascuna delle posizioni della pluralità dei soggetti passivi del reato, dovendosi, all’evidenza, escludere una generalizzazione, indeterminata, all’indirizzo di una comunità, non meglio specificata, nelle connotazioni singolari.
Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza 24 gennaio 2018, n. 3271