Responsabilità precontrattuale e liquidazione del danno
La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la configurabilità della responsabilità precontrattuale in caso in cui il contratto sia stato concluso in violazione del principio di buona fede nelle trattative e della liquidazione del danno da responsabilità precontrattuale.
Secondo l’impostazione tradizionale della dottrina, che aveva avuto largo seguito nella giurisprudenza di legittimità, non era ravvisabile un’ipotesi di responsabilità precontrattuale nelle ipotesi in cui l’accordo tra le parti si fosse formato, sia pur a condizioni diverse da quelle che si sarebbero avute se la parte non avesse tenuto un comportamento contrario alla buona fede, in quanto si riteneva che la configurabilità della responsabilità precontrattuale fosse preclusa dalla intervenuta conclusione del contratto (tra le tante Cass. 16,4.1994, n.3621, Cass. 11 settembre 1989, n.3922 e, più di recente Cassazione civile sez, II, 05/02/2007, n.2479).
La responsabilità ai sensi dell’art.1337 c.c. era concepibile solo in presenza del mancato perfezionamento dell’accordo, ovvero nel caso di contratto invalido, previsto dall’art.1338 c.c. mentre, una volta concluso il contratto, l’unica ferma di responsabilità configurabile era quella contrattuale ed eventuali scorrettezze precontrattuali potevano rilevare solo se si traducevano in inadempimento.
La giurisprudenza successiva ha cambiato indirizzo e può dirsi consolidata nell’estendere la responsabilità precontrattuale anche nelle ipotesi in cui il contratto si sia concluso, attraverso un’applicazione generalizzata dell’art.1337 c.c.
Il cambiamento di indirizzo ha colto le riflessioni di autorevole dottrina e le innovazioni derivanti dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria.
In primo luogo, è stato osservato che il dato letterale dell’art.13:37 c.c. “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede” non preclude l’applicabilità della norma alla fase successiva alla conclusione del contratto ed a tutto il periodo di esecuzione dello stesso.
E’ stata sottoposta a rimeditazione la ripartizione e la regola di non interferenza tra regole di comportamento e regole di validità: secondo l’impostazione tradizionale, la violazione dei doveri di comportamento ha conseguenze esclusivamente sul piano risarcitorio e non può incidere sulla validità dell’atto mentre le regole di validità attengono alla struttura dell’atto e l’assenza dei requisiti di validità impedisce all’atto di produrre effetti giuridici.
Si è superato il principio di non interferenza tra regole comportamento e regole di validità, osservandosi come nella legislazione di matrice comunitaria in tema di contratti venga individuata, tra i requisiti di validità, l’osservanza di norme comportamentali, come accade per i contratti del consumatore o tra imprese con abuso di posizione economica dominante, in cui sussiste una asimmetria del potere contrattuale delle parti.
In tale ottica, una parte della dottrina ha ravvisato nell’art.1337 c.c. una norma di chiusura rispetto alle regole di validità nel senso che conferisce rilevanza a scorrettezze non considerate da tali norme, assumendo una funzione correttiva dell’equilibrio economico risultante da un contratto valido.
Con la sentenza della I Sezione Civile del 29/09/2005, n.19024 viene definitivamente superato il filone giurisprudenziale per il quale la configurabilità della responsabilità precontrattuale ex art.1337 c.c, è preclusa dalla intervenuta conclusione del contratto e tale orientamento, salvo occasionale oscillazione di segno contrario (tra cui proprio Cassazione civile sez. II, 05/02/2007, n.2479) è divenuta dominante.
La Corte ha affermato in modo chiaro che la “contrarietà” a norme imperative, considerata dall’art. 1418, primo comma, c.c. quale “causa di nullità” del contratto, postula che essa attenga ad elementi “intrinseci” della fattispecie negoziale, che riguardino, cioè, la struttura o il contenuto del contratto (art. 1418, secondo comma, c.c.). I comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale, sicchè la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore (ad es., art. 1469 ter, quarto comma, c.c., in relazione all’art. 1469, quinquies, primo comma, stesso codice).
L’ambito di rilevanza della responsabilità contrattuale non è quindi circoscritto alle ipotesi in cui il comportamento non conforme a buona fede abbia impedito la conclusione del contratto o abbia determinato la conclusione di una contratto invalido ovvero inefficace.
La Corte ha chiarito che l’ambito di rilevanza della regola posta dall’art. 1337 c.c. va ben oltre l’ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative e assume il valore di una clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in maniera precisa, ma certamente implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto.
L’esame delle norme positivamente dettate dal legislatore pone in evidenza che la violazione di tale regola di comportamento assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative (e, quindi, di mancata conclusione del contratto) o di conclusione di un contratto invalido o comunque inefficace (artt. 1338, 1398 c.c.), ma anche quando il contratto posto in essere sia valido, e tuttavia pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto (1440 c.c.).
Da tale ultimo orientamento deriva il convincimento che la disposizione dell’art.1337 c.c. sia, al pari di quelle degli art. 1175 e 1375 c.c., norma meramente precettiva o imperativa positiva, dettata a tutela ed a limitazione degli interessi privatistici nella formazione ed esecuzione dei contratti, e non può, perciò, essere inclusa tra le «norme imperative», aventi invece contenuto proibitivo, considerate dal comma 1 dell’art.1418 c.c., la cui violazione determina la nullità del contratto. Fuori dell’ipotesi di responsabilità precontrattuale (che si ha quando una parte receda dalle trattative dopo aver determinato nell’altra l’affidamento sulla conclusione del contratto), la violazione dell’obbligo generico di comportarsi secondo buona fede non implica né responsabilità civile, né invalidità del contratto, ove il comportamento scorretto non integri una determinata ipotesi legale cui sia connessa quella specifica sanzione civilistica, come confermato anche dalla disciplina dettata, in tema di dolo, dagli art.1439 e 1440 c.c.
Per quanto riguarda la determinazione del danno, in caso di comportamenti precontrattuali od esecutivi illegittimi, qualora esso derivi da un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minor vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle partì, salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.
Sul solco della citata pronuncia, si pone Cass. n.2497/2005 che consolida la tesi della compatibilità tra validità del contratto e responsabilità ex art.1337 c.c. Anche in tale decisione, si afferma che, in caso di comportamenti scorretti, il risarcimento va ragguagliato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal comportamento scorretto (Cassazione civile sez. 08/10/2008, n.24795).
Successivamente, le Sezioni Unite, sia pur in un obiter dictum, hanno consolidato l’orientamento che estende la responsabilità precontrattuale anche all’ipotesi della conclusione di un valido contratto ( Cass. 19.12.2007, n.
26724).
Si è giunti, quindi, in tempi più recenti ad affermare che la regola posta dall’art. 1337 c.c, non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale e che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto (Cassazione civile sez. I, 23/03/2016, n.5762; Cassazione civile sez. VI, 21/10/2013, n.23873).
Può dirsi quindi assodato che la responsabilità precontrattuale non viene più considerata come un insieme chiuso di ipotesi sanzionatorie rigidamente predeterminate bensì come uno strumento flessibile per sanzionare comportamenti scorretti anche in presenza di un contratto valido ma svantaggioso, concluso a causa di una condotta sleale che non si traduce in dolo ma in un comportamento non conforme a buona fede,
Attraverso tale ricostruzione, vengono abbattuti i limiti dell’interesse negativo sicchè il risarcimento va commisurato al “minor vantaggio o al maggior aggravio economico” rispetto alle condizioni diverse a cui sarebbe stato stipulato il contratto, senza l’interferenza del comportamento scorretto di una delle parti e comunque avendo riguardo a tutti í danni collegati a tale comportamento da un rapporto conseguenziale e diretto.
E’ rimesso al giudice di merito l’accertamento in fatto della responsabilità della parte alla quale sia imputabile il comportamento scorretto o l’omissione, nel corso delle trattative, di informazioni rilevanti le quali avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso.
Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza n. 4715 del 14 febbraio 2022