Reddito di inclusione e reddito di cittadinanza. Differenze
In riferimento al reddito di cittadinanza, cioè all’istituto che nel 2019 ha sostituito il reddito di inclusione, sulla scia di alcuni precedenti (sentenze n. 137, n. 126 e n. 7 del 2021), la Corte Costituzionale ha osservato in particolare che «il reddito di cittadinanza, pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla povertà, non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale», e che «[a] tale sua prevalente connotazione si collegano coerentemente la temporaneità della prestazione e il suo carattere condizionale, cioè la necessità che ad essa si accompagnino precisi impegni dei destinatari», il cui inadempimento implica la decadenza dal beneficio.
Nonostante le differenze che il reddito di inclusione presenta rispetto al reddito di cittadinanza – il quale in effetti si connota per una più spiccata finalizzazione all’inserimento lavorativo, oltre che per un maggior peso degli impegni in capo ai beneficiari e una più alta soglia economica d’accesso – i due istituti hanno in comune le caratteristiche che la Corte ha valorizzato nella sentenza n. 19 del 2022 per pervenire alla conclusione della non fondatezza delle questioni che le erano state sottoposte.
E’ opportuno sintetizzare preliminarmente la disciplina del reddito di cittadinanza. Il d.l. n. 4 del 2019, come convertito, che lo istituisce, lo definisce «misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale […]», e lo qualifica «livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili» (art. 1, comma 1). Il citato decreto-legge è stato oggetto di modifiche (non significative ai fini del presente giudizio) ad opera della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024).
Il reddito di cittadinanza consiste in un beneficio economico che costituisce un’«integrazione del reddito familiare» fino alla soglia di 6000 euro annui (incrementata a seconda dei componenti del nucleo familiare), alla quale si può aggiungere un’integrazione del reddito dei nuclei familiari locatari di un’abitazione, fino ad un massimo di 3360 euro annui (art. 3, comma 1). Il beneficio è riconosciuto «per un periodo continuativo non superiore a diciotto mesi» e può essere rinnovato, previa sospensione di un mese prima di ciascun rinnovo (art. 3, comma 6).
La sua erogazione «è condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, […] nonché all’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale»» (art. 4, comma 1). Questo percorso si realizza o con il Patto per il lavoro (stipulato presso un centro per l’impiego e che «deve contenere gli obblighi e gli impegni previsti dal comma 8, lettera b», che riguardano essenzialmente la ricerca attiva del lavoro e l’accettazione delle offerte congrue) o con il Patto per l’inclusione sociale, stipulato presso i servizi comunali competenti per il contrasto della povertà (art. 4, commi 7 e 12). Si tratta di due “canali” comunicanti, nel senso che il beneficiario convocato dal centro per l’impiego può essere inviato al servizio comunale e viceversa (art. 4, commi 5-quater e 12). Il Patto per l’inclusione sociale comprende anche gli «interventi per l’accompagnamento all’inserimento lavorativo» (art. 4, comma 13).
Nell’ambito di entrambi i Patti, «il beneficiario è tenuto ad offrire […] la propria disponibilità per la partecipazione a progetti a titolarità dei comuni, utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il medesimo comune di residenza, mettendo a disposizione un numero di ore compatibile con le altre attività del beneficiario e comunque non inferiore al numero di otto ore settimanali […]» (art. 4, comma 15).
Rispetto al precedente istituto del reddito di inclusione, dunque, il reddito di cittadinanza si caratterizza per una spiccata finalizzazione all’inserimento lavorativo e per un più stringente meccanismo della condizionalità, cioè per un’accentuazione degli impegni assunti dai beneficiari. Inoltre, rispetto al reddito di inclusione il reddito di cittadinanza è destinato a una platea più ampia di beneficiari, in quanto è prevista una soglia economica d’accesso più alta (art. 2, comma 1, lettera b). Per altro verso, come visto, il d.l. n. 4 del 2019, come convertito, ha previsto un forte allungamento del periodo necessario di residenza in Italia (da due a dieci anni).
L’art. 12 del citato decreto-legge detta le disposizioni finanziarie per l’attuazione del reddito di cittadinanza, fissando un limite legislativo di spesa. Il comma 1 determina la provvista finanziaria per l’erogazione del Rdc, autorizzando la spesa di 5.907 milioni di euro per il 2019, di 7.167 milioni per il 2020, di 7.391 milioni per il 2021 e di 7.246 milioni annui a decorrere dal 2022, con imputazione ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro, denominato «Fondo per il reddito di cittadinanza». Tale autorizzazione di spesa è stata incrementata dapprima dall’art. 1, comma 371, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), poi, per la somma di 1.000 milioni di euro limitatamente all’anno 2021, dall’art. 11, comma 1, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69, e infine, sempre per il 2021 per la somma di 200 milioni di euro, dall’art. 11, comma 13, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215. Per gli anni 2022 e seguenti l’autorizzazione di spesa di cui all’art. 12, comma 1, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, è stata incrementata dall’art. 1, comma 73, della legge n. 234 del 2021, per una somma di poco superiore ai 1.000 milioni all’anno.
L’art. 12, comma 9, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, prevede che, «[i]n caso di esaurimento delle risorse disponibili per l’esercizio di riferimento ai sensi del comma 1, […] con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro trenta giorni dall’esaurimento di dette risorse, è ristabilita la compatibilità finanziaria mediante rimodulazione dell’ammontare del beneficio»
La Corte non può che ribadire che il reddito di cittadinanza, pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla povertà, non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale. A tale sua prevalente connotazione si collegano coerentemente la temporaneità della prestazione e il suo carattere condizionale, cioè la necessità che ad essa si accompagnino precisi impegni dei destinatari, definiti in Patti sottoscritti da tutti i componenti maggiorenni del nucleo familiare (salve le esclusioni di cui all’art. 4, commi 2 e 3, del d.l. n. 4 del 2019). È inoltre prevista la decadenza dal beneficio nel caso in cui un solo componente non rispetti gli impegni (art. 7, comma 5, del d.l. n. 4 del 2019).
Resta compito della Repubblica, in attuazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 38, primo comma, Cost., garantire, apprestando le necessarie misure, il diritto di ogni individuo alla «sopravvivenza dignitosa» e al «minimo vitale» (sentenza n. 137 del 2021).
Corte Costituzionale sentenza n. 19 del 2022
Corte Costituzionale sentenza n. 34 del 2022