Il reddito di cittadinanza è stato introdotto con Decreto Legge 28 Gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, in Legge 28 marzo 2019, n. 26, e tra le finalità vanta quella di favorire il reinserimento del beneficiario nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale.
Il reddito di cittadinanza è subordinato alla presenza di determinati requisiti reddittuali e personali da parte del richiedente/beneficiario. Sul punto si è pronunciata il giudice delle leggi che ha ricostruito il quadro normativo di riferimento.
L’art. 2 del Decreto Legge n. 4 del 2019, nella sua versione originaria, individuava i requisiti reddituali e personali per beneficiare del reddito di cittadinanza, che devono essere posseduti, sia alla presentazione della domanda da parte del richiedente, sia per tutta la durata dell’erogazione del beneficio. Il successivo art. 7, comma 3, invece, prevedeva le misure nei confronti di chi benefici del reddito di cittadinanza senza averne i requisiti. Così, tra le altre misure, era stabilita la revoca del beneficio (disposta dall’Istituto nazionale di previdenza sociale, da qui: INPS), con efficacia retroattiva e obbligo alla restituzione di quanto indebitamente percepito, nel caso di condanna in via definitiva (o di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti) per i reati di cui ai commi 1 e 2 dello stesso art. 7 (attinenti alle false dichiarazioni o alle omesse comunicazioni concernenti i requisiti per ottenere e mantenere il reddito di cittadinanza), nonché per quello previsto dall’art. 640-bis del Codice Penale (ossia il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche), con l’ulteriore effetto di non poter più richiedere il beneficio prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna.
In sede di conversione del Decreto Legge n. 4 del 2019 sono intervenute rilevanti modifiche a tali disposizioni.
In primo luogo, è stata inserita la lettera c-bis) nell’art. 2, comma 1, che ha aggiunto, tra i requisiti necessari a ottenere il reddito di cittadinanza, la mancata sottoposizione a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché la mancanza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per i delitti indicati dall’art. 7, comma 3.
In secondo luogo, tra siffatti delitti sono stati inclusi anche quelli di cui agli artt. 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 C.p., nonché quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni di cui allo stesso articolo. Si tratta di reati ritenuti di particolare allarme sociale, concernenti fattispecie di terrorismo ed eversione e di stampo mafioso, già individuati dall’art. 2, comma 58, della Legge 28 Giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) quale causa di revoca, in caso di condanna, degli ammortizzatori sociali, comunque denominati in base alla legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare (come l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili).
La legge di conversione, infine, ha aggiunto al testo del Decreto Legge l’art. 7-ter che ha introdotto la fattispecie della sospensione del reddito di cittadinanza nei confronti del beneficiario o del richiedente a cui venga applicata una misura cautelare personale, nonché del condannato con sentenza non definitiva per uno dei reati di cui al predetto art. 7, comma 3. La sospensione, inoltre, si applica anche nei confronti del beneficiario o del richiedente dichiarato latitante ai sensi dell’art. 296 C.p.P. o che si sia sottratto volontariamente all’esecuzione della pena.
A differenza della revoca, la sospensione non ha effetto retroattivo ed è adottata dal giudice che ha disposto la misura cautelare o ha emesso la sentenza di condanna non definitiva o ha dichiarato la latitanza, ovvero dal giudice dell’esecuzione, su richiesta del pubblico ministero che ha emesso l’ordine di esecuzione di cui all’art. 656 C.p.P., al quale il condannato si sia volontariamente sottratto. Il provvedimento di sospensione è poi comunicato all’INPS, che deve disporre la temporanea cessazione dell’erogazione del reddito di cittadinanza. La sospensione può a sua volta essere revocata dall’autorità giudiziaria che l’ha disposta, quando vengano meno le condizioni che l’avevano determinata, con la conseguenza che l’interessato potrà presentare domanda all’ente previdenziale per il ripristino dell’erogazione, che non ha però effetto retroattivo (non prevedendosi, pertanto, la corresponsione differita degli importi maturati durante il periodo di sospensione).
Corte Costituzionale sentenza n. 122/2020