La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la quantificazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida con riguardo al reato di guida in stato di ebrezza la cui pena è stata sostituita con il lavoro di pubblica utilità.
Nel caso di specie si sostiene che il giudice ha omesso di motivare circa la durata della sanzione amministrativa inflitta, senza giustificare l’uso del potere discrezionale affidatogli dalla legge, benché la misura applicata superi il minimo edittale.
E’ necessario premettere che la quantificazione della sanzione accessoria deve essere effettuata non in base ai criteri di cui all’art. 133 C.p.P., ma in base ai diversi parametri di cui all’art. 218, comma 2, C.d.S. (gravità della violazione commessa, entità del danno apportato, pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare), sicché le motivazioni relative alla misura della sanzione penale e di quella amministrativa restano tra di loro autonome e non possono essere raffrontate ai fini di una eventuale incoerenza o contraddittorietà intrinseca del provvedimento.
Anche in materia di sanzioni amministrative accessorie, invero, deve farsi riferimento al principio secondo cui la motivazione circa la sussistenza dei parametri di valutazione al fine della commisurazione concreta della sanzione da infliggere assume rilevanza quanto più ci si discosti dal minimo. Non vi è dubbio, infatti, che nessuna motivazione sia necessaria per giustificare l’applicazione del minimo, essendo un’ovvietà logica che (in assenza di una misura inferiore) il criterio discrezionale sia espressione della scarsa importanza della violazione commessa, della ridotta entità del danno e del futuro pericolo che la circolazione dell’interessato potrebbe determinare. Ma anche nell’ipotesi di sanzione concreta determinata entro il medio edittale, il richiamo ai criteri previsti dall’art. 218 C.d.S. ancorché reso esplicito con le espressioni meramente relative alla congruità della sanzione costituisce giustificazione sufficiente dell’uso della discrezionalità del giudice, perché si colloca in una fascia valutativa, fra il minimo ed il medio edittale appunto, all’interno della quale il legislatore stesso prevede la sanzione come corrispondente alla gravità media della violazione e del pericolo futuro.
Ritenere la sanzione media come congrua significa, dunque, semplicemente corrispondere allo schema punitivo previsto “mediamente” dalla norma incriminatrice, il che non può implicare l’obbligo di un particolare impegno motivazionale.
Diversamente quando ci sì discosta da quella medietà, e tanto più ci si discosta, è necessario spiegare per quale motivo i parametri che si giudicano (nel caso della sospensione della patente, l’entità del danno apportato, la gravità della violazione commessa, ed il pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare) meritino l’applicazione di una sanzione superiore, perché il superamento di quella soglia implica una valutazione della gravità che supera la “media” ed il giudice deve spiegarne le ragioni, non potendo altrimenti giustificarsi l’utilizzo della discrezionalità, che in assenza di ogni argomentazione al riguardo perde la sua qualità positiva di adattamento della sanzione al caso concreto e, conseguentemente, la sua legittimità anche costituzionale (moltissime sono le pronunce che distinguono, benché facendo riferimento alla pena, l’obbligo motivazionale fra il caso di applicazione della sanzione minima o media e quello dell’irrogazione della sanzione superiore e più prossima al massimo edittale, da ultimo: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 36104 del 27/04/2017; Cass., Sez. 4, Sentenza n. 27959 del 18/06/2013).
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 18365 Anno 2021