Pressione psicologica nel rato di stalking
Un continuo stato di pressione psicologica è alla base del reato di atti persecutori, ex art. 612 bis C.p.
Nel caso di specie dopo l’omologazione dell’accordo di separazione ed un tentativo di riconciliazione, il marito aveva iniziato a tenere nei suoi confronti un comportamento assillante e ossessivo, inondandola di continui messaggi e telefonate, anche nel corso della notte, ora di contenuto sentimentale, ora di contenuto minaccioso, ora di contenuto inquisitorio, chiedendole conto dei suoi spostamenti e dei suoi incontri, intromettendosi nei suoi incontri con altre persone, con lo scopo di impedirle di frequentare altri uomini.
Secondo i principi affermati dalla Corte di legittimità, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente (Cass., Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017). Peraltro, ai fini della integrazione del reato di atti persecutori (art. 612 bis cod. pen.) non si richiede l’accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori – e nella specie costituiti da minacce, pedinamenti e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti – abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612 bis cod. pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 cod. pen.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (Cass., Sez. 5, n. 18646 del 17/02/2017).
Nel caso in esame, per vero, deve rilevarsi come i giudici di merito abbiano correttamente applicato i richiamati principi di legittimità, ricostruendo l’intera sequenza dei comportamenti dell’imputato e dando puntualmente conto della realizzazione di un evento di “danno“, consistente nell’alterazione delle abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura (Cass., Sez. 3, n. 23485 del 07/03/2014, dep. 05/06/2014).
Le dichiarazioni della p.o. possono essere legittimamente poste da sole a base dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto (Cass., S.U., n. 41461 del 19.7.2012; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011; Sez. 3, n.28913 del 03/05/2011; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/ 2010; Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008). Inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr. ex plurimis Cass., Sez. 6, n, 27322 del 2008; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004).
Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 12 gennaio 2021, n. 839