Pignorabilità dei redditi da lavoro e da pensione

Pignorabilità dei redditi da lavoro 
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La disciplina della pignorabilità dei redditi da lavoro e da pensione è contenuta nel codice di rito civile. Secondo il dispositivo di cui all’art. 545 C.p.C.:

Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto.

Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza.

Le somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato.

Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.

Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà dell’ammontare delle somme predette.

Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge.

Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge.

Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.

Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio.

Secondo la previsione contenuta nel codice di rito civile, i crediti derivanti da rapporto di lavoro o di impiego sono pignorabili nella misura del “quinto” (art. 545 quarto comma, C.p.C.) mentre, qualora concorrano più cause tra quelle indicate dall’art. 545 C.p.C., il quinto comma, prevede che il pignoramento può estendersi sino alla metà.

Per quel che riguarda gli emolumenti da pensione, l’orientamento della Corte Costituzionale è nel senso che, pur mantenendosi il limite del quinto del percepito, debba essere sottratta al regime generale di pignorabilità la parte necessaria a soddisfare le esigenze minime di vita del pensionato (sentenza n. 506 del 2002). La Corte ha contestualmente affermato la non assimilabilità del regime dei crediti pensionistici a quelli di lavoro, precisando che «individuato il proprium del disposto dell’art. 38, secondo comma, Cost. nell’esigenza di garantire nei confronti di chiunque (con le sole eccezioni di crediti qualificati, tassativamente indicati dal legislatore) l’intangibilità della parte della pensione necessaria per assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato, non ne discende automaticamente analoga conseguenza riguardo alle retribuzioni. […Ciò in quanto non] risulta incisa la ragione per cui, a proposito del regime della pignorabilità, questa Corte ha negato sussistere l’esigenza di una soglia di impignorabilità assoluta: da un lato, infatti, l’art. 38, secondo comma, Cost. enuncia un precetto che, quale espressione di un principio di solidarietà sociale, ha come destinatari anche (nei limiti di ragione) tutti i consociati, dall’altro, l’art. 36 Cost. […] indica parametri ai quali, […] nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, deve conformarsi l’entità della retribuzione, senza che ne scaturisca, quindi, vincolo alcuno per terzi estranei a tale rapporto, oltre quello – frutto di razionale “contemperamento dell’interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio” (sentenze n. 20 del 1968 e n. 38 del 1970) – del limite del quinto della retribuzione quale possibile oggetto di pignoramento» (sentenza n. 506 del 2002).

Ferma restando la specificità della situazione del pensionato, è stato comunque riconosciuto, nella stessa sentenza n. 506 del 2002, che l’individuazione dell’ammontare della parte di pensione idonea ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita rimane riservata, “nei limiti di ragione”, alla discrezionalità del legislatore.

Sotto quest’ultimo profilo è da sottolineare la recente novella legislativa contenuta nel decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 132, recante integrazioni agli artt. 545 e 546 cod. proc. civ. In particolare l’art. 13, comma 1, lettera l), ha aggiunto all’art. 545 cod. proc. civ. la seguente prescrizione «Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge».

Proseguendo nell’excursus normativo e giurisprudenziale, è opportuno ricordare che i limiti di pignorabilità posti dall’art. 545, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., non valgono in caso di esecuzione concorsuale. In tale evenienza trova applicazione la normativa specifica contenuta nell’art. 46 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), la quale affida al giudice il potere di determinare l’eventuale devoluzione al fallito, con conseguente sottrazione all’acquisizione dell’attivo fallimentare, di una parte delle somme a lui dovute a titolo di stipendio o di pensione, entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia.

Inoltre, l’art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973, come inserito dall’art. 3, comma 5, lettera b), del d.l. n. 16 del 2012 ed integrato dall’art. 52, comma 1, lettera f), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, dispone in tema di riscossione delle imposte sul reddito che «1. Le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate dall’agente della riscossione in misura pari ad un decimo per importi fino a 2.500 euro e in misura pari ad un settimo per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro. 2. Resta ferma la misura di cui all’articolo 545, quarto comma, del codice di procedura civile, se le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano i cinquemila euro. 2-bis. Nel caso di accredito delle somme di cui ai commi 1 e 2 sul conto corrente intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all’ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo».

Infine, il già citato art. 13, comma 1, lettera l), del d.l. n. 83 del 2015, ha aggiunto all’art. 545 cod. proc. civ. una ulteriore prescrizione afferente alla pignorabilità delle somme su conto corrente bancario o postale intestato al debitore, così formulata: «Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge. Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio».

A ben vedere, il quadro normativo e giurisprudenziale del regime delle impignorabilità dei crediti afferenti a redditi esigui si presenta complesso a causa di molteplici fattispecie riferibili a situazioni giuridiche diverse, tra loro difficilmente comparabili e sostanzialmente disomogenee.

Corte Costituzionale sentenza n. 248 anno 2015

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