La Legge n. 194 del 1978, art. 9, prevede:
“Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli artt. 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.
L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale.
L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.
L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.
L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto immediato, se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente“.
La legge esonera il medico obiettore dal partecipare alla procedura di interruzione della gravidanza solo in relazione alle attività “specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza” e non anche per quelle di assistenza ovvero per quelle strumentali, non a determinare l’interruzione della gravidanza ma a verificare se l’interruzione vi sia stata ed ad accertare che non vi siano rischi per le condizioni cliniche e di salute della donna.
Il medico può solo rifiutarsi di causare l’aborto, chirurgicamente o farmacologicamente, ma non anche di prestare assistenza, (cit. Cass. n. 18901/2021, in cui l’imputato rifiutò, nell’ambito di una procedura articolata in più fasi, di accertare se l’aborto indotto per via farmacologica da altro sanitario si fosse verificato e se vi fossero le condizioni per dimettere le pazienti; un esame che, anche nel caso in cui fosse stato accertato che l’aborto non si era verificato, non avrebbe avuto nessuna valenza rispetto a ciò che successivamente sarebbe potuto accadere. Il diritto di obiezione, si è lucidamente spiegato, non esonera il medico dall’intervenire durante l’intero procedimento di interruzione volontaria della gravidanza, in quanto si tratta di interpretazione che obiettivamente non trova conferma nel dato normativo, in quanto il diritto di obiezione di coscienza trova comunque un limite nella tutela della salute della donna).
Nell’aborto indotto per via farmacologica “la fase rispetto alla quale opera l’esonero da obiezione di coscienza è limitata alle sole pratiche di predisposizione e somministrazione dei farmaci abortivi, coincidenti con quelle procedure e attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione” cui si riferisce l’art. 9 comma 3 citato” per il resto il medico ha l’obbligo di assicurare la cura (Cass., Sez. 6, n. 14979 del 27/11/2012).