Locus commissi delicti del delitto di diffamazione commesso a mezzo stampa telematica
La giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di locus commissi delicti del delitto di diffamazione, afferma da tempo che si tratti di reato di evento, che si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi – almeno due – percepiscono la espressione ingiuriosa (sez. 5, 27/12/2000 n° 4741, P.M. contro ignoti, Rv. 217745; sez. 2, n. 36721 del 21/02/2008, Buraschi, Rv. 242085; cfr. anche sez. 1, ord. n. 1524 del 15/05/1979, Mitolo, Rv. 142489; sez. 5, n. 495 del 17/03/1969, Fiore, Rv. 111696) e, più precisamente, che si perfeziona al momento e nel luogo in cui un secondo soggetto – diverso, naturalmente, dal soggetto passivo del reato – ne apprenda i contenuti.
Perché sussista diffamazione la persona offesa non deve essere contestualmente presente, fisicamente o “virtualmente” in base alle moderne tecnologie, al momento della condotta dell’offensore e della ricezione della notizia da parte di almeno due altre persone; non rileva, dunque – e rimane integrato il reato di diffamazione – che il destinatario della propalazione lesiva della reputazione sia aliunde ed altrimenti giunto a conoscenza diretta della comunicazione in suo danno (sez. 3, n. 17563 del 23/03/2023, Amurri, Rv. 284592).
Nel caso di reato commesso a mezzo stampa telematica non può poi essere utilizzato il tradizionale criterio interpretativo in tema di stampa cartacea, a sua volta di formazione giurisprudenziale, secondo il quale il focus commissi delicti corrisponde al luogo nel quale si verifica la prima divulgazione del giornale, che normalmente, corrisponde a quello di stampa ovvero al luogo in cui è situata la tipografia; e secondo il quale, di conseguenza, la competenza viene individuata “nel luogo di prima diffusione dello stampato“, il quale di regola coincide appunto con quello della stampa, nella ragionevole presunzione che, una volta fuoriuscito lo stampato dalla tipografia, si realizzi l’immediata possibilità della sua lettura da parte di altre persone e, quindi, si perfezioni la diffusione potenziale dello stesso.
Trattandosi invero della immissione della notizia in uno spazio Web, la comunicazione deve ritenersi indirizzata a tutti i possibili visitatori del sito, ma l’introduzione nella Rete del messaggio non consolida l’evento di offesa alla reputazione, che si concretizza quando i visitatori entrano nel sito e prendono visione del contenuto della comunicazione.
Nel caso di offesa arrecata tramite Internet, la condotta, cioè l’introduzione nello spazio Web del messaggio dal contenuto illecito, è in altre parole distinta dall’evento, integrato dalla apprensione del messaggio da parte di terzi. E in certa misura anche la giurisprudenza civile (Cass., sez. Un., 13 ottobre 2009, n. 21661), in tema di responsabilità extracontrattuale ex artt. 2043 e 2059 cod. civ., si è collocata sulla medesima direttrice ermeneutica, precisando, in primo luogo, come non rilevi tanto «la semplice allocazione della notizia o del giudizio sui server», quanto piuttosto che la notizia divenga patrimonio dei destinatari; e, in secondo luogo, «ravvisando la necessità di identificare un unico luogo certo nel quale si verifichi il pregiudizio effettivo». Tale obbiettivo può essere raggiunto, secondo tale impostazione, con l’individuazione del luogo di interesse nel domicilio del danneggiato «al momento della diffusione della notizia o del giudizio lesivi, perché la lesione della reputazione e degli altri beni della persona è correlata all’ambiente economico e sociale nel quale la persona vive e opera e costruisce la sua immagine, e quindi “svolge la sua personalità”».
Detto ciò, al lume della corrente di pensiero, consegue che il luogo nel quale si è verificato l’evento del reato in scrutinio andrebbe identificato con quello nel quale almeno due visitatori abbiano letto la notizia offensiva (e non si siano, cioè, meramente collegati al sito di riferimento, perché il reato si realizza con l’effettività dell’apprensione della notizia), e tuttavia è intuitivo che ciò, nel mondo virtuale di ampiezza planetaria, sia nella stragrande maggioranza dei casi di complicato, se non impossibile accertamento.
In un contesto, insomma, di problematica utilizzabilità di indicatori oggettivi certi che guidino l’accertamento del luogo di consumazione, nella tematica dei reati di diffamazione commessi tramite rete telematica, si è dunque formata la giurisprudenza di legittimità che ha stabilito come, al fine di radicare la competenza per territorio, debba aversi riguardo al luogo in cui è avvenuto il caricamento del dato informatico che contiene l’espressione diffamatoria – ove ciò sia stato accertato – perché tale segmento comportamentale individua l’ultimo luogo conoscibile in cui è avvenuta una parte dell’azione che incorpora uno degli elementi costitutivi della fattispecie; ove impraticabile tale accertamento processuale, si deve ricorrere, in via gradata, al luogo di residenza, domicilio o dimora dell’imputato, in attuazione della regola suppletiva di cui all’art. 9 comma 2 cod. proc. pen. (sez.5, n. 31677 del 19/05/2015, Vulpio, Rv. 264521; sez. 1, n. 16307 del 15/03/2011, confl. comp. in proc. Pulina, Rv. 249974; sez.1, n. 2739 del 21/12/2010, confl. comp. in proc. Gennari, Rv. 249179).
La selezione dell’atto di upload è stata ritenuta preferibile al parametro dell’ubicazione del server, ovvero dell’elaboratore elettronico di conservazione dei dati informatici, in armonia con il principio esegetico stabilito, sia pure in tema di momento e luogo di consumazione del reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 17325 del 26/03/2015, Rocco, Rv. 263020, secondo cui, ai fini della individuazione della competenza per territorio in caso di realizzazione di tale delitto, deve aversi riguardo – ove verificabile – al luogo in cui il soggetto usurpatore si introduca o si mantenga nel sistema informatico con l’utilizzazione della relativa chiave di accesso; ove il luogo della connessione non sia puntualmente collocabile, e di conseguenza non possa trovare applicazione la norma cardine sulla competenza di cui all’art. 8 cod. proc. pen., si deve avere riguardo ai criteri suppletivi sanciti dall’art. 9.
Ad analoghi principi interpretativi si è sostanzialmente ispirata la recente pronuncia di sez. 5. n. 43638 del 06/09/2023, Agnelli e altri, Rv. 285306, che ha affrontato ex art. 24 bis cod. proc. pen. una questione di rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio in tema di delitto di aggiotaggio che, a differenza della diffamazione, è fattispecie di pericolo concreto che si perfeziona al momento e nel luogo della messa a disposizione al pubblico dell’informazione alterata; è stata in linea generale ribadita la centralità, ai fini del radicamento della competenza per territorio per la tipologia di reato, del criterio dell’individuazione del luogo del caricamento del dato informatico, perché il caricamento segna la potenziale diffusione al pubblico dell’informazione di mercato; esso, tuttavia, è stato ritenuto recessivo in quanto la decriptazione del dato è avvenuta solo all’atto della successiva veicolazione nel server di sistema, frammento del processo informatico a cui è stata ancorata la concreta fruibilità dell’informazione da parte della generalità dei destinatari e, dunque, identificativo dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione, ai sensi dell’art. 9 comma 1 cod. proc. pen.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 n. 14204 del 2025