La Suprema Corte Costituzionale con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la libertà e la segretezza della corrispondenza in relazione alle restrizioni previste e disciplinate dall’ordinamento quali mezzi di ricerca della prova ai fini dell’accertamento dei reati.
La “libertà” e la “segretezza” della “corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione” sono oggetto del diritto “inviolabile” tutelato dall’art. 15 Cost., che garantisce “quello spazio vitale che circonda la persona e senza il quale questa non può esistere e svilupparsi in armonia con i postulati della dignità umana“.
Nondimeno, al pari di ogni altro diritto costituzionalmente protetto, anche il diritto alla libertà e alla segretezza della corrispondenza è soggetto a limitazioni, purché disposte “per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge“. Se così non fosse, “si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette” (sentenza n. 85 del 2013). Per questo, la “Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi“, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e di ragionevolezza (sentenza n. 85 del 2013).
Pertanto, anche il diritto inviolabile protetto dall’art. 15 Cost. può subire limitazioni o restrizioni “in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante, sempreché l’intervento limitativo posto in essere sia strettamente necessario alla tutela di quell’interesse e sia rispettata la duplice garanzia” della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione (sentenza n. 366 del 1991).
In tal senso, occorre affermare che l’amministrazione della giustizia e la persecuzione dei reati costituiscano interessi primari, costituzionalmente rilevanti, idonei a giustificare una normativa limitativa del diritto alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e della comunicazione.
Ciò avviene, appunto, attraverso la previsione legislativa di mezzi di ricerca della prova, disciplinati dal Libro III, Titolo III, Capo III, del codice di procedura penale, che consentono all’autorità giudiziaria di prendere conoscenza dei contenuti delle comunicazioni interpersonali rilevanti ai fini dell’accertamento dei reati e di utilizzarli come evidenze processuali.
La vigente normativa sulla ricerca dei mezzi di prova distingue gli strumenti applicabili alla corrispondenza da quelli esperibili nei confronti delle comunicazioni telefoniche, telematiche e informatiche. Per le prime è possibile procedere a sequestro (art. 254 C.p.P.), mentre per le seconde la ricerca delle prove può avvenire a mezzo di intercettazione (artt. 266 e 266-bis C.p.P.), applicabile anche alle comunicazioni tra presenti.
Si tratta invero di strumenti diversi per modalità ed efficacia. Il sequestro della corrispondenza ha per oggetto il supporto (lettera, plico, pacco, telegramma) di cui comporta l’apprensione materiale, con la conseguenza di impedire che esso giunga a destinazione. L’intercettazione, che può avvenire anche all’insaputa degli interessati, ha per oggetto la comunicazione in sé e non ne interrompe il flusso; essa richiede operazioni talora articolate di registrazione e trascrizione perché le informazioni possano essere utilizzate a fini processuali, secondo modalità puntualmente disciplinate dalla legge (artt. 268 e ss. C.p.P.). Tale asimmetria tra la disciplina concernente le comunicazioni epistolari (in particolare postali) e quella applicabile alle altre forme di comunicazione (conversazioni e comunicazioni telefoniche, telematiche o informatiche, ovvero gestuali) non determina una violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.
Vero è che il diritto di cui all’art. 15 Cost. comprende tanto la “corrispondenza” quanto le “altre forme di comunicazione“, incluse quelle telefoniche, elettroniche, informatiche, tra presenti o effettuate con gli altri mezzi resi disponibili dallo sviluppo della tecnologia. È altresì vero, tuttavia, che la tutela del medesimo diritto, nella specie, a comunicare liberamente e riservatamente, non esige di necessità l’uniformità della disciplina delle misure restrittive ad esso applicabili. Al contrario, la medesima esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni interpersonali ben può tollerare, o persino richiedere, che la limitazione del diritto sia adeguatamente modulata, in ragione delle diverse caratteristiche del mezzo attraverso cui la comunicazione si esprime. Ciò che rileva è che le disposizioni limitative della libertà di comunicazione siano rispettose della riserva assoluta di legge e di giurisdizione e siano volte alla tutela di un altro diritto o al perseguimento di un altro interesse costituzionalmente rilevante, in ossequio ai principi di idoneità, necessità e proporzionalità.
In altri termini è necessario che il legislatore abbia operato in concreto un bilanciamento tra il principio costituzionale della tutela della riservatezza nelle comunicazioni e l’interesse della collettività, anch’esso costituzionalmente protetto, alla repressione degli illeciti penali, senza imporre limitazioni irragionevoli o sproporzionate dell’uno o dell’altro (sentenza n. 372 del 2006).
Nella normativa vigente, la libertà e la riservatezza della corrispondenza epistolare (postale) non sono esenti dai sacrifici necessari ad assicurare un efficace svolgimento delle indagini e dell’amministrazione della giustizia. Il sequestro di cui all’art. 254 C.p.P., infatti, consente all’autorità giudiziaria di prendere conoscenza dei contenuti della corrispondenza dell’imputato rilevante per l’accertamento di reati, per mezzo della diretta acquisizione coattiva della res in cui si sostanzia l’atto di comunicazione, rappresentata dalla missiva cartacea. In tal modo, il sequestro determina altresì un’interruzione del flusso informativo, impedendo che la comunicazione scritta giunga al destinatario, così da esplicare anche effetti preventivi, specie quando la corrispondenza epistolare si sostanzi in direttive o mandati criminosi.
Il sequestro, individuato dal legislatore come strumento volto a dotare l’ordinamento di mezzi di indagine utili alla repressione degli illeciti penali, costituisce una tra le possibili forme di restrizione alla libertà e alla segretezza della corrispondenza idonee a contemperare, in modo non irragionevole, anche alla luce delle peculiari caratteristiche del mezzo comunicativo disciplinato, interessi costituzionali contrapposti.
Non può d’altra parte ritenersi che la specifica disciplina applicabile alla corrispondenza determini una distinzione giuridica irragionevole e perciò lesiva del principio di eguaglianza, sulla base del solo raffronto con la normativa applicabile a mezzi strutturalmente eterogenei quali sono, appunto, le comunicazioni telefoniche, informatiche e telematiche.
La diversità del mezzo comunicativo utilizzato ha orientato il legislatore verso differenti modalità di ricerca della prova, secondo scelte non irragionevoli, in base alle quali ha previsto il sequestro per la comunicazione realizzata attraverso un mezzo cartaceo, in linea con gli strumenti tradizionali per l’acquisizione di cose pertinenti al reato (art. 253 C.p.P. e, con specifico riguardo alla corrispondenza postale, art. 254 C.p.P.), e l’intercettazione per la comunicazione realizzata attraverso mezzi visivi, acustici o elettronici.
Non è dunque di per sé irragionevole che la restrizione del diritto alla segretezza delle comunicazioni, giustificata da esigenze di prevenzione e repressione dei reati, possa comportare la previsione di differenti mezzi di ricerca della prova, tecnicamente confacenti alla diversa natura del medium utilizzato per la comunicazione.
Corte Costituzionale sentenza n. 20 anno 2017