La Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, quarto periodo, del D.lgs. n. 285 del 1992 (Codice della strada), sollevata in riferimento all’art. 3 Costituzione.
Il Giudice rimettente ritiene che la norma censurata viola il principio di uguaglianza, nella parte in cui non prevede, in caso di svolgimento con esito positivo del lavoro di pubblica utilità, la riduzione alla metà della sanzione accessoria della sospensione della patente in caso di veicolo appartenente a terzi estranei al reato.
Invero, la norma censurata prevede che, qualora non si sia verificato un incidente stradale, il giudice possa sostituire le sanzioni penali dell’ammenda e dell’arresto con la sanzione del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 D.lgs. n. 274 del 2000.
Inoltre l’art. 186, comma 2, lettera c), CdS, prevede per il reato di guida in stato di ebbrezza la sospensione della patente in misura doppia nel caso di conducente non proprietario del veicolo.
Il Giudice rimettente afferma che il meccanismo premiale dell’art. 186 comma 9bis del D.lgs. 285 del 1992, farebbe discendere a carico di soggetti responsabili del medesimo reato di guida in stato di ebbrezza, un diverso trattamento sanzionatorio, dipendente dalla sola circostanza che essi siano o non proprietari del veicolo.
La sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità avvia una vera e propria procedura di tipo “premiale”.
Infatti, in caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, la maggiore durata della sospensione della patente per i conducenti non proprietari non troverebbe più giustificazione nella mancata confisca del veicolo, e proprio in virtù del menzionato svolgimento positivo, il giudice deve comunque disporre la revoca della confisca disposta in danno dei conducenti proprietari.
Questi ultimi insomma, all’esito dell’esecuzione, si troverebbero ingiustamente favoriti, perché soggetti ad una sospensione della patente di guida non raddoppiata e, al tempo stesso, immuni da un provvedimento di ablazione patrimoniale, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost..
La Corte Costituzionale evidenzia che la ratio della disposizione censurata consiste nella necessità di prevenire e reprimere la prassi di ricorrere all’uso di vetture intestate a terzi diffusa dopo l’introduzione della previsione della confisca obbligatoria del veicolo.
Orbene, tale manifesta irragionevolezza non è riscontrabile nè nel diverso trattamento sanzionatorio “di partenza”, e nè in riferimento all’esito del positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.
A seguito dell’esito positivo del lavoro di pubblica utilità, analoghi effetti premiali non possono che essere riferiti alle sanzioni di partenza, diverse per ragioni obiettivamente rilevanti.
Al tempo stesso, una puntuale comparazione delle posizioni “finali” avrebbe richiesto un apprezzamento anche con riguardo agli effetti della confisca comunque disposta, in esito alla fase cognitiva, a carico del conducente proprietario, spesso accompagnata medio tempore dall’indisponibilità del mezzo per effetto di sequestro.
In ogni caso, la pretesa per cui, pur essendo ragionevolmente sanzionati in misura differenziata nella fase cognitiva del processo, i soggetti in comparazione debbano uscire puniti “allo stesso modo” dalla fase esecutiva, presupporrebbe, sia pure a fini di omologazione, l’attribuzione di un diverso “peso”, a seconda dei casi, ad un identico fattore di premialità, cioè al buon comportamento tenuto nello svolgimento del lavoro di pubblica utilità.
Sennonché, la riduzione premiale del trattamento sanzionatorio “trova giustificazione in una condotta diversa da quella illecita, e cioè, appunto, nella efficace e diligente prestazione di un servizio a favore della collettività”.
Il più marcato trattamento premiale del conducente non proprietario, rispetto a quello proprietario, pur nella perfetta identità dei comportamenti tenuti in chiave rieducativa non trova fondamento.
In realtà, al medesimo comportamento non può che corrispondere l’identità del trattamento premiale, cioè la riduzione percentuale, in misura fissa, sulla pena irrogata, con effetti ovviamente diversi in termini assoluti, a seconda dei valori di partenza.
Ne consegue l’ infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata.
Corte Costituzionale sent. n. 198 del 2015