Lancio di oggetti dal cavalcavia.
Dal delitto di violenza privata al tentativo di omicidio
La più recente giurisprudenza di legittimità, che – superando la più risalente tesi della configurabilità del delitto di violenza privata (Sez. 5, n. 20749 del 13/04/2010, Arienzo, Rv. 247592 – 01) – ritiene configurabile il dolo omicidiario nelle variegate ipotesi di lancio di oggetti dal cavalcavia.
Già con la pronuncia della Sez. 1, n. 19897 del 25/03/2003, Lenzi, Rv. 224798 – 01 si è affermato che «costituisce tentativo di omicidio plurimo il lancio “a pioggia”, dall’alto di un cavalcavia sulla sottostante sede autostradale, in ora notturna, di sassi, pietre, cocci e simili, in quanto tale azione, seppure non diretta a colpire singoli autoveicoli, è idonea – per la non facile avvistabile presenza degli oggetti sulla carreggiata, data anche l’ora notturna, e per la consistente velocità tenuta generalmente dai conducenti in autostrada – a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo soggettivo, deve ritenersi diretta la volontà dell’agente».
Nell’occasione, occupandosi del caso specifico dell’Imputato che aveva scagliato, con un unico gesto, un quantitativo di oggetti (sassi, cocci di terracotta ed una pietra a spigoli vivi, di varie dimensioni fino a cm. 7 x 5), la Corte ha avuto modo di chiarire, quanto all’idoneità degli atti, che vi era pericolo in concreto ravvisabile, con grado di probabilità certamente non trascurabile, pur in presenza di un lancio non mirato, ma “a pioggia“, nel momento in cui sopraggiungevano nella carreggiata interessata alcune autovetture.
Quanto all’elemento psicologico, ha evidenziato che, «anche volendo considerare non calcolato né prevedibile il transito di alcuni veicoli pressoché in coincidenza con il lancio, il fatto stesso di cagionare la dispersione sulla carreggiata di una molteplicità oggetti non agevolmente avvistabili e capaci di provocare danni ai pneumatici o comunque turbative alla marcia normale delle autovetture su strada destinata a grande traffico ad alta velocità era indubbiamente e univocamente indicativo dell’intento di provocare incidenti con conseguenze potenzialmente letali».
Del pari, si è ritenuto di individuare il dolo diretto nella condotta dell’agente che, sforzandosi di superare un’alta rete metallica protettiva, aveva lanciato un sasso di rilevante massa (ndr di circa tre chilogrammi) in corrispondenza della corsia di scorrimento delle macchine su un’autostrada, notoriamente molto trafficata in determinate ore del giorno, da un punto di un cavalcavia da cui non sia possibile vedere le auto che transitano in basso (Sez. 1, n. 5436 del 25/01/2005, Marangon, Rv. 230813 – 01).
La Corte, riprendendo i principi espressi nella sentenza Lezzi, quanto alla configurabilità dell’ elemento psicologico, ha puntualizzato che integra il dolo diretto il lancio di sassi anche quando tale azione non è diretta a colpire gli autoveicoli, ma è idonea – per la non facile avvistabilità degli oggetti che cadono o già caduti mentre i conducenti sono impegnati nella guida e transitano a velocità elevata – a creare il concreto pericolo di incidenti stradali anche mortali, al cui verificarsi deve intendersi diretta la volontà dell’agente.
Il dato della non completa visuale al momento del lancio, che stessero transitando auto, è dimostrativo dell’indifferenza verso la vita delle persone che era prevedibile che transitassero su quel tratto di strada.
In Cass., Sez. 1, n. 29611 del 30/03/2022, L., Rv. 283375, si è, infine, affermato che «In tema di tentato omicidio, è configurabile il dolo diretto nella condotta dell’agente che, dopo aver superato la rete metallica posta a protezione di un cavalcavia autostradale, lanci in immediata successione due sassi di rilevante massa sulla carreggiata al momento del passaggio di un’autovettura, ben visibile dall’alto».
Circostanza, questa, che lungi dal mero divertimento di lanciare a caso oggetti sulla strada sottostante, l’intento criminoso è proprio quello di colpire il veicolo, possibilmente nel suo punto più vulnerabile (parabrezza), così da provocare il massimo danno possibile.
Corte di Cassazione, Sez. I penale, sentenza 14 gennaio 2025, n. 1710