La moglie adultera
L’art. 559 del Codice penale puniva soltanto la moglie adultera e non il marito che offendeva il bene della fedeltà coniugale.
(La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la stessa pena è punito il correo dell’adultera.
La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina.
Il delitto è punibile a querela del marito.)
L’articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con le sentenze 19 dicembre 1968, n. 126 e 3 dicembre 1969, n. 147.
Il principio che il marito possa violare impunemente l’obbligo della fedeltà coniugale, mentre la moglie debba essere punita – più o meno severamente – rimonta ai tempi remoti nei quali la donna, considerata perfino giuridicamente incapace e privata di molti diritti, si trovava in stato di soggezione alla potestà maritale. Da allora molto é mutato nella vita sociale: la donna ha acquistato pienezza di diritti e la sua partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia e della intera collettività é diventata molto più intensa, fino a raggiungere piena parità con l’uomo; mentre il trattamento differenziato in tema di adulterio é rimasto immutato, nonostante che in alcuni stati di avanzata civiltà sia prevalso il principio della non ingerenza del legislatore nella delicata materia.
I rapporti fra coniugi sono disciplinati invece dall’art. 29 della Costituzione, che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, afferma l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e dispone che questa eguaglianza possa subire limitazioni soltanto a garanzia dell’unità familiare. Nel sancire dunque sia l’eguaglianza fra coniugi, sia l’unità familiare, la Costituzione proclama la prevalenza dell’unità sul principio di eguaglianza, ma solo se e quando un trattamento di parità tra i coniugi la ponga in pericolo.
Come é stato precisato nella precedente giurisprudenza, non vi é dubbio che, fra i limiti al principio di eguaglianza, siano da annoverare quelli che riguardano le esigenze di organizzazione della famiglia, e che, senza creare alcuna inferiorità a carico della moglie, fanno tuttora del marito, per taluni aspetti, il punto di convergenza dell’unità familiare, e della posizione della famiglia nella vita sociale. Ciò indubbiamente autorizza il legislatore ad adottare, a garanzia dell’unità familiare, talune misure di difesa contro influenze negative e disgregatrici.
Queste considerazioni tuttavia non spiegano né giustificano la discriminazione sanzionata dalla norma dell’art. 559 del Codice penale.
É questione di politica legislativa quella relativa alla punibilità dell’adulterio. Ma, poiché la discriminazione fatta in proposito dall’attuale legge penale viola il principio di eguaglianza fra coniugi – il quale rimane pur sempre la regola generale – occorre esaminare se essa sia essenziale alla unità familiare. Infatti solo in tal caso sarebbe ammissibile il sacrificio di quel principio di base nel nostro ordinamento.
Si ritiene, alla stregua dell’attuale realtà sociale, che la discriminazione, lungi dall’essere utile, é di grave nocumento alla concordia ed alla unità della famiglia. La legge, non attribuendo rilevanza all’adulterio del marito e punendo invece quello della moglie, pone in stato di inferiorità quest’ultima, la quale viene lesa nella sua dignità, é costretta a sopportare l’infedeltà e l’ingiuria, e non ha alcuna tutela in sede penale.
Per l’unità familiare costituisce indubbiamente un pericolo l’adulterio del marito e della moglie, ma, quando la legge faccia un differente trattamento, questo pericolo assume proporzioni più gravi, sia per i riflessi sul comportamento di entrambi i coniugi, sia per le conseguenze psicologiche sui soggetti.
Si ritiene pertanto che la discriminazione sancita dal primo comma dell’art. 559 del Codice penale non garantisca l’unità familiare, ma sia più che altro un privilegio assicurato al marito; e, come tutti i privilegi, violi il principio di parità.
É chiaro che, il riconoscimento della illegittimità del primo comma investe anche il secondo comma dell’art. 559 del Codice penale, per il quale é punito il correo della moglie adultera.
CORTE COSTITUZIONALE sentenza n. 126 del 1968