La Bambolona è una commedia italiana del 1968 che con la regia Franco Giraldi e la magistrale interpretazione Ugo Tognazzi e una giovanissima Isabella Rei si impone nel panorama cinematografico ottenendo un Nastro d’argento a Ugo Tognazzi nel 1969 come migliore attore protagonista.
La pellicola trae ispirazione dall’omonimo romanzo della scrittrice Alba De Céspedes.
La storia si svolge a Roma dove un avvocato scapolo di mezza età e un pò donnaiolo, Giulio Broggini (alias Ugo Tognazzi) incontra la giovane e bella popolana, appena diciassettenne e dal fisico prosperoso, Ivana Scarapecchia (alias Isabella Rei) della quale si innamora al primo sguardo. Da questo incontro causale prende il via un lungo corteggiamento tra i due protagonisti, tra regali di lui, diretti a conquistare anche la famiglia, e continui dinieghi di lei, ai limiti di un erotismo solo verbale e qualche remore bigotta sulle condizioni umili e di diversa estrazione sociale della ragazza.
Ma la ragazza, solo apparentemente ingenua riesce con astuzia a trarre in inganno l’affermato avvocato, comunicandogli la presunta gravidanza e costringendolo a pagare una grossa somma di denaro per non essere accusato di violenza, per poi fuggire con l’amato fruttivendolo e i soldi.
Il finale trasforma la satira in cinismo aprendo un varco introspettivo sulla morale italiana negli anni 60-70, non molto diversa da quella odierna.
La Bambolona, solo di nome ma non nei fatti, si trasforma nell’agguerrita donna che sfida le regole civili anzi le piega alle sue necessità fino paradossale, mentre il professionista avvocato, facoltoso, borghese ed acculturato è vittima, per lo più, del costume sociale.
In base a quali valori morali l’affermato avvocato decide di accollarsi la presunta paternità e di pagare la somma di denaro? Per paura di eventuali ripercussioni o per non infrangere quella morale sociale. Più che di morale si dovrebbe parlare di (falso) moralismo che si espande a macchia d’olio, comprime la libertà, basato su concetti precostituiti e stereotipi ben affermati.
“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria”.
Critica della Ragion Pratica, Immanuel Kant