La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente il rigetto dell’istanza di ammissione al beneficio della messa alla prova a seguito del mancato risarcimento del danno cagionato da parte dell’imputato.
Nel caso di specie, tra gli altri motivi di doglianza, si deduce che i giudici del merito abbiano considerato condizione obbiettivamente ostativa all’ammissione al beneficio della messa alla prova il fatto che l’imputato non abbia provveduto al risarcimento del danno cagionato ovvero in assenza di una offerta risarcitoria. Per tali ragioni non si riteneva integrati i presupposti per l’ammissibilità al beneficio della messa alla prova.
In tal modo, i giudici del merito hanno, in sostanza, subordinato la possibilità di essere ammessi al beneficio della messa alla prova o all’avvenuto risarcimento del danno cagionato per effetto del reato contestato o, comunque, allo svolgimento di un’attività di pubblica utilità il cui prodotto costituisca un valore pari all’importo del danno cagionato.
Tale impostazione, di tipo meccanicisticamente retributivo, è priva di fondamento normativo e razionale.
Orbene, fra le condizioni necessarie ai fini della ammissione alla messa alla prova il risarcimento del danno cagionato dal reato è indicato solamente con la espressione “ove possibile“, evidenziandosi, con tale espressione non la inammissibilità della istanza laddove, per fattori diversi, ivi compresa la incapienza dell’istante rispetto alla entità del danno cagionato, il risarcimento non sia concretamente praticabile, ma, al contrario, pur essendo auspicabile tale risarcimento, la sua non assunzione a livello di condizione ostativa ove non realizzabile.
In tale senso, infatti, si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, con espressioni cui pare del tutto opportuno dare piena continuità, laddove ha chiarito che la valutazione dell’adeguatezza del programma presentato dall’imputato va operata sulla base degli elementi evocati dall’art. 133 C.p., in relazione non soltanto all’idoneità a favorire il reinserimento sociale del prevenuto, ma anche all’effettiva corrispondenza alle condizioni di vita dello stesso, avuto riguardo alla previsione di un risarcimento del danno corrispondente, ove possibile, al pregiudizio arrecato alla vittima o che, comunque, sia espressione – in un’ottica che non sia esclusivamente retributiva ma tenda a favorire la riabilitazione, bonis operibus, del prevenuto – della sua disponibilità ad assicurare la prestazione, ai fini ripristinatori, dello sforzo massimo da lui sostenibile alla luce delle sue condizioni economiche, che possono essere verificate dal giudice ex art. 464-bis, comma 5, C.p.P. (Cass., Sez. II penale, 30 luglio 2019, n. 34878).
Corte di Cassazione, Sez. 3, n. 26046 Anno 2022