L’iscrizione della messa alla prova nel casellario giudiziario è stato da ultimo regolamentato dalla sentenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 231 del 2018) che ha stabilito che il provvedimento di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 464-quater, C.p.P. e la sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464-septies, C.p.P. non sono riportati nel casellario giudiziale richiesto dall’interessato (a solo da questi).
Il casellario giudiziale è il registro nazionale che contiene l’insieme dei dati relativi a provvedimenti giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti determinati (Testo unico sul casellario giudiziale come modificato dal D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 122).
La menzione dei provvedimenti concernenti la messa alla prova nei certificati richiesti dai privati appare, … suscettibile di risolversi in un ostacolo al reinserimento sociale del soggetto che abbia ottenuto, e poi concluso con successo, la messa alla prova, creandogli, in particolare, più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative, senza che ciò possa ritenersi giustificato da ragioni plausibili di tutela di controinteressi costituzionalmente rilevanti, dal momento che l’esigenza di garantire che la messa alla prova non sia concessa più di una volta (art. 168-bis, comma 4, C.p.) è già adeguatamente soddisfatta dall’obbligo di iscrizione dei menzionati provvedimenti sulla messa alla prova e della loro indicazione nel certificato “ad uso del giudice” (rispettivamente artt. 3, comma 1, lettera i-bis, e 21, comma 1, del T.U. Casellario Giudiziale). (Corte Costituzionale sentenza n. 231 del 2018).
La sentenza di estinzione del reato, per esito positivo della prova conseguente alla sospensione del processo, è soggetta ad iscrizione nel casellario giudiziario, a norma dell’art. 3, comma 1, lett. i-bis), D.P.R. n. 313 del 2002, perché ne resti memoria in relazione al divieto di reiterazione della sospensione medesima, sancito dall’art. 168-bis, penultimo comma, C.p., divenendo a tal fine un “precedente” ostativo.
Tale precedente non è certamente qualificabile come pronuncia di “condanna“, ma esso possiede una specifica connotazione penalistica.
Costituisce infatti l’epilogo, fausto, di un procedimento speciale, quale quello di messa alla prova, attivato dalla volontà dell’imputato il quale, senza contestare l’accusa, si sottopone ad un trattamento alternativo alla sanzione criminale che, in caso di condanna, sarebbe stata applicata; procedimento in certa misura assimilabile (come ritenuto da Corte Cost., sentenza n. 91 del 2018) al rito speciale di cui all’art. 444 C.p.P., in cui l’imputato, sempre in difetto di un accertamento formale di responsabilità e di un’attribuzione di colpevolezza, accetta direttamente la pena.
In questo contesto, la considerazione di detto precedente quale accadimento storico, di significato penalistico, sulla cui base operare apprezzamenti e prognosi in sedi processuali ulteriori, non appare implausibile. (Cass., n. 17809 del 2021)