La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in commento si sofferma, in tema di diffamazione a mezzo stampa, sull’ipotesi in cui la cronaca abbia ad oggetto il contenuto di un’ intervista.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, “la divulgazione di una notizia lesiva della reputazione può essere considerata lecita e come tale rientrante nel diritto di cronaca quando: 1) i fatti esposti sono veri, 2) vi è un interesse pubblico alla conoscenza del fatto, 3) vi sia correttezza formale dell’esposizione che non travalichi lo scopo informativo” (Cass. n. 6877/2000).
In relazione alla specifica ipotesi di espressioni diffamatorie contenute in un’ intervista, si è precisato che, “ove il giornalista si sia limitato a riportare senza modifiche o commenti le parole effettivamente dette dall’intervistato, presupposti per l’applicabilità dell’esimente del diritto di cronaca sono:
a) la verità del fatto che l’intervistato abbia effettivamente formulato, nelle circostanze di tempo e di luogo indicate dal giornalista, le espressioni riportate, che è da escludersi quando, pur essendo vere le affermazioni riferite, ne siano dolosamente o colposamente taciute altre, idonee ad alterarne sostanzialmente il significato, ovvero quando, mediante accostamenti suggestivi di singole affermazioni dell’intervistato capziosamente scelte o a mutamenti dell’ordine di esposizione delle medesime, l’ intervista venga a risultare presentata in termini oggettivamente idonei a creare nel lettore o nell’ascoltatore una (in tutto o in rilevante parte) falsa rappresentazione della realtà dalla medesima emergente;
b) sussistenza, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione o ad altri caratteri dell’ intervista, di indiscutibili profili di interesse pubblico all’informazione”.
Dando continuità a tale orientamento, ritiene la Suprema Corte che, quando la cronaca abbia per oggetto immediato il contenuto di un’ intervista, il requisito della verità vada apprezzato in termini di corrispondenza fra le dichiarazioni riportate dal giornalista e quelle effettivamente rese dall’intervistato, con la conseguenza che, laddove non abbia manipolato o elaborato le predette dichiarazioni (in modo da falsarne, anche parzialmente, il contenuto), il giornalista non può essere chiamato a rispondere di quanto affermato dall’intervistato, sempreché ricorra l’ulteriore requisito dell’interesse pubblico alla diffusione dell’ intervista.
Altrettanto deve valere per il requisito della continenza, da intendersi rispettato ove il giornalista si sia limitato a riportare correttamente le dichiarazioni (a prescindere dal contenuto delle stesse).
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 3 Num. 23168 Anno 2014