Il reato di incendio trova, in primis, una specifica disciplina nell’art. 423 C.p. “Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni“; nell’art. 423 bis C.p.: “Chiunque, al di fuori dei casi di uso legittimo delle tecniche di controfuoco e di fuoco prescritto, cagiona un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni“; e nell’art. 424 C.p.: “Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 423 bis al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui è punito, se dal fatto sorge il pericolo di un incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni“.
I reati che sanzionano le condotte di cagionare un incendio, inteso come “fuoco divampato irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo la incolumità di un numero indeterminato di persone” (Cass., Sez. 1, n. 14263 del 23/02/2017) si distinguono in ragione dell’atteggiamento soggettivo dell’agente. È, pertanto, configurabile la fattispecie prevista dall’art. 449 C.p., laddove l’incendio non sia in alcun modo voluto ma sia stato causato da una condotta imprudente, negligente, contraria a leggi, regolamenti, ordini o discipline; ricorrono, invece, rispettivamente la fattispecie prevista dall’art. 423 C.p. o quella di cui all’art. 424 C.p. laddove sussista in capo all’agente la volontà di cagionare siffatto evento lesivo o, invece, la volontà di danneggiare con il fuoco la cosa altrui, senza la previsione che le fiamme si propaghino in modo da creare un effettivo pericolo per la pubblica incolumità o il pericolo di detto evento (da ultimo Cass., Sez. n. 29294 del 17/05/2019).
Per verificare in concreto la sussistenza di una o dell’altra delle ricordate fattispecie incriminatrici occorre fare riferimento alle coordinate interpretative elaborate dalla giurisprudenza di legittimità in tema di elemento soggettivo, in particolare, per segnare il confine tra le forme di colpevolezza più problematiche: il dolo eventuale e la colpa cosciente.
Ricorre il dolo eventuale non solo quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi (Cass., Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014) ma anche quando l’agente ponga in essere la condotta a costo di cagionare l’evento lesivo come sviluppo collaterale o accidentale, ma comunque preventivamente accettato, della propria azione, in modo tale che, sul piano del giudizio controfattuale, possa concludersi che egli non si sarebbe trattenuto dal porre in essere la condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento medesimo. (Cass., Sez. 1, n. 8561 del 11/02/2015; Cass., Sez. 5, n. 23992 del 23/02/2015).
Sul piano probatorio, per la configurabilità del dolo eventuale è necessaria la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento verificatasi nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa. L’accertamento volto a ricostruire l'”iter” e l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento. (Cass., Sez. 5, n. 23992 del 23/02/2015; Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017).
Ricorre, invece, la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo (cass., Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014).
Ai fini della configurabilità della colpa cosciente non è sufficiente la mera prevedibilità dell’evento, ma occorre la prova della sua previsione in concreto, accompagnata dal convincimento che lo stesso non accadrà, sicché il giudice è tenuto ad indicare analiticamente gli elementi sintomatici da cui tale previsione sia in concreto desumibile da parte dell’imputato (Cass., Sez. 4, n. 32221 del 20/06/2018).
Corte di Cassazione, Sez. I Penale, sentenza 6 aprile 2021, n. 13007