Il reato di furto appartiene alla tipologia dei reati contro il patrimonio in quanto il bene tutelato è, per l’appunto, il patrimonio, quale complesso di beni appartenente ad una determinata persona.
Il reato di furto è disciplinato dall’art. 624 C.p.: “Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516. Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7 e 625“.
La condotta consiste nell’impossessamento del bene altrui che deve concretizzarsi senza minaccia o violenza, altrimenti integrerebbe il reato di rapina. All’impossessamento corrisponde la sottrazione del bene a colui che lo detiene (da sottrarre ovvero l’atto di portare via la res oltre la sfera di disponibilità del detentore); ne consegue che l’elemento soggettivo del reato è il dolo specifico in quanto il soggetto agente vuole raggiungere uno scopo prefissato ovvero quello di di trarne profitto per sé o per altri, indipendentemente se il profitto si realizzi o meno.
D’altro canto l’atto di impossessamento del bene realizza la consumazione del reato di furto, e non il mero tentativo.
Invero, secondo i principi che individuano il momento di consumazione del reato di furto “il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva” (Cass. n. 48880/2018, n.26749/2016), di guisa che “risponde di furto consumato e non semplicemente tentato chi, dopo essersi impossessato della refurtiva, non si sia ancora allontanato dal luogo della sottrazione e abbia esercitato sulla cosa un potere del tutto momentaneo, essendo stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto per il pronto intervento dell’avente diritto o della polizia” (Cass. n.7704/1993).
Ai fini della configurazione dell’autonoma disponibilità della cosa, che segna il momento acquisitivo a cui l’impossessamento è funzionale, non rileva il dato temporale ex se, essendo sufficiente che l’agente abbia conseguito anche solo momentaneamente l’esclusiva signoria di fatto sul bene, assumendo, invece, decisivo rilievo la effettiva concretizzazione del rischio di definitiva dispersione, anche se questa non si sia, di fatto, realizzata per l’intervento di fattori causali successivi ed autonomi.
In altri termini, l’agente acquisisce l’autonoma disponibilità della cosa sottratta – e la fattispecie si realizza in forma consumata – solo quando il soggetto passivo del reato ne perda, correlativamente, la detenzione, anche mediata attraverso forme indirette di vigilanza e custodia. Ed in tale prospettiva assumono rilevanza le cautele predisposte al fine di minimizzare l’incidenza dei fattori di rischio che, con riferimento al concreto assetto delle misure di vigilanza e controllo rispetto all’adozione di immediate iniziative contenitive, possono di fatto escludere il conseguimento, da parte dell’agente, di una signoria autonoma sul bene, cristallizzando la condotta nella fase del tentativo.
Secondo siffatto paradigma si declinano i criteri ermeneutici enucleati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui “In caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo” (Cass. S.U, n.52117 del 17/07/2014).
Ai fini della ravvisabilità del tentativo, occorre, dunque, che il complesso delle cautele adottate dal soggetto passivo del reato consenta un contestuale intervento impeditivo che, di fatto, precluda all’agente l’esercizio di autonomi poteri dispositivi sulla cosa, escludendo ex ante il pericolo di definitiva dispersione del bene sottratto.
In riferimento al monitoraggio dell’azione da parte delle forze dell’ordine, secondo il costante avviso della giurisprudenza di legittimità, integra il reato di furto nella forma consumata la condotta di colui che, subito dopo l’impossessamento, venga inseguito e bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza, in quanto l’osservazione a distanza da parte degli agenti non assume rilevanza ai fini della configurabilità del reato nella forma tentata poiché tale “studio” non solo non avviene ad opera della persona offesa, ma neppure impedisce il conseguimento dell’autonomo possesso della res, prima dell’arresto in flagranza (Cass. n. 19368/2020).