Il giudizio immediato trova una specifica disciplina nell’art. 453 C.p.P.:
Quando la prova appare evidente, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, il pubblico ministero chiede il giudizio immediato se la persona sottoposta alle indagini è stata interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova ovvero, a seguito di invito a presentarsi emesso con l’osservanza delle forme indicate nell’articolo 375 comma 3 secondo periodo, la stessa abbia omesso di comparire, sempre che non sia stato adottato un legittimo impedimento e che non si tratti di persona irreperibile.
1-bis. Il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all’articolo 454, comma 1, e comunque entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini.
1-ter. La richiesta di cui al comma 1-bis è formulata dopo la definizione del procedimento di cui all’articolo 309, ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame.
2. Quando il reato per cui è richiesto il giudizio immediato risulta connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario.
3. L’imputato può chiedere il giudizio immediato a norma dell’articolo 419 comma.
Il giudizio immediato, introdotto per la prima volta nell’ordinamento processuale nel 1989 e in alcun modo assimilabile all’omonimo istituto regolato nel codice del 1930, si connota per la maggiore celerità nel passaggio alla fase dibattimentale che avviene senza la preventiva celebrazione dell’udienza preliminare. Tale peculiarità è presente anche nel rito direttissimo, anch’esso contraddistinto dall’assenza di premialità. Al contrario di quanto previsto per il giudizio direttissimo, in cui l’accesso alla fase dibattimentale avviene senza alcuna previo controllo giurisdizionale, nel rito immediato richiesto dal pubblico ministero l’instaurazione del dibattimento avviene solo all’esito della verifica operata dal giudice per le indagini preliminari circa la sussistenza dei relativi presupposti processuali.
A differenza degli altri riti speciali, connotati dall’unicità del modello procedimentale, quello immediato si caratterizza per la poliedricità strutturale conseguente all’ampliamento dell’originaria previsione normativa, costituente l’archetipo, mediante l’aggiunta del c.d. rito immediato custodiale che con il primo condivide l’assenza dell’udienza preliminare, in coerenza con le peculiari esigenze di speditezza e di risparmio di risorse processuali che contraddistinguono questo giudizio alternativo (Corte cost., ordd. nn. 256 del 2003 e 371 del 2002). Il controllo sui presupposti del rito si svolge, quindi, senza le formalità tipiche dei procedimenti camerali.
Nell’ottica della legittimazione soggettiva si deve distinguere il giudizio immediato sollecitato dal pubblico ministero (art. 453 e ss C.p.P.) da quello introdotto dalla domanda dall’imputato.
Il primo è legittimato a richiedere il giudizio immediato ordinario entro novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 C.p.P., e quello c.d. custodiale, introdotto dal D.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2008, n. 125, entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura detentiva per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.
L’imputato, una volta ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, può rinunciarvi, avanzando domanda di procedere con le forme del rito immediato (art. 419, comma 5, C.p.P.). Può, altresì, sollecitare il giudizio immediato anche in sede di opposizione a decreto penale di condanna (art. 461, comma 3, C.p.P.).
Dal punto di vista oggettivo, i vari presupposti del rito sono riconducibili o alla tutela dell’obbligo dell’azione penale e della correlativa necessaria completezza delle indagini oppure al piano delle garanzie difensive.
Rientra nel primo ambito la possibilità di non instaurazione del rito in presenza di un grave pregiudizio per le indagini.
Sono, invece, riconducibili al secondo aspetto, quanto al giudizio immediato ordinario, l’evidenza della prova, l’obbligo di preventivo interrogatorio o, comunque, in sua assenza, di regolare notificazione dell’avviso a presentarsi emesso secondo le forme indicate dall’art. 375 C.p.P., l’inesperibilità nei confronti degli irreperibili; quanto al c.d. giudizio immediato custodiale, disciplinato dall’art. 453, comma 1 -bis, C.p.P., il perdurante stato di custodia cautelare della persona sottoposta alle indagini dopo la definizione della procedura di riesame o il decorso dei termini per proporre la richiesta di riesame, l’omessa revoca o annullamento della misura per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il giudizio immediato tipico si caratterizza per lo stretto collegamento tra notitia criminis, indagini e giudizio. Infatti, il termine per la sua richiesta decorre dell’iscrizione della notizia di reato (anche non soggettivizzata) e si ricollega al presupposto probatorio del rito, traducendosi in una sorta di presunzione legale di non evidenza probatoria nei casi in cui le indagini si protraggano oltre i tre mesi. Nel giudizio immediato c.d. custodíale il legislatore delinea un preciso nesso tra stato detentivo della persona disposto in ordine al delitto per il quale è stato iscritto il procedimento e profili probatori, integrati dalla definizione della procedura di riesame o, comunque, dal decorso dei termini per proporla.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale e la prevalente dottrina, la nozione di evidenza della prova, contenuta nell’art. 453, comma 1, C.p.P., ha una sua precisa valenza semantica che deve essere ricostruita in base alla peculiarità del giudizio immediato senza possibilità di mutuare il suo significato dagli altri istituti processuali (artt. 129, 389, 422 C.p.P.) che richiamano la medesima dizione. Essa qualifica l’indagine condotta dal pubblico ministero e riguarda tutti gli atti delle indagini preliminari e non soltanto le prove utilizzabili in dibattimento, che potrebbero non essere affatto acquisite. L’evidenza probatoria si traduce in una prognosi sulla sostenibilità in giudizio dell’accusa e deve essere tale da consentire di escludere che il contraddittorio fra le parti possa indurre il giudice dell’udienza preliminare a pronunciare una sentenza di non luogo a procedere (Cass., Sez. U, n. 22 del 06/12/1991; Corte cost., ordd. nn. 276 del 1995 e 182 del 1992). La sussistenza di elementi di tale pregnanza da escludere la necessità di sottoposizione alla verifica dell’udienza preliminare spiega il fondamento logico-sistematico del giudizio immediato che prevede il passaggio alla fase dibattimentale senza la preventiva celebrazione della suddetta udienza.
Il presupposto probatorio sin qui delineato si riflette inevitabilmente sugli altri due, cui è subordinata l’instaurazione del rito in questione.
La formulazione del giudizio di evidenza della prova è possibile soltanto in presenza di una compiuta contestazione alla persona sottoposta alle indagini degli elementi di accusa raccolti nei suoi confronti, idonea a consentire il pieno esercizio del diritto di difesa mediante l’illustrazione delle proprie discolpe.
Il termine stabilito dalla legge per l’instaurazione del c.d. giudizio immediato ordinario (pari a novanta giorni) segna il raccordo tra l’evidenza della prova e la non complessità dell’indagine.
In conclusione, quindi, l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque, la rituale previa contestazione degli addebiti e la fissazione dei termini per l’introduzione del giudizio sono funzionali ad un corretto accertamento dell’evidenza probatoria.
Considerazioni analoghe valgono per il giudizio immediato c.d. custodíale – disciplinato dal comma 1 -bis dell’art. 453 C.p.P. – in cui il consolidamento del quadro di gravità indiziaria conseguente alla definizione della procedura ex art. 309 C.p.P. può costituire soltanto un tassello della più ampia categoria dell’evidenza della prova, intesa come substrato probatorio idoneo, in presenza di indagini complete e concludenti, a rendere superflua la celebrazione dell’udienza preliminare, ad escludere che il contraddittorio fra le parti in tale sede possa portare ad una sentenza di non luogo a procedere e, infine, a consentire il passaggio alla fase dibattimentale. Il giudizio di gravità indiziaria è, infatti, una prognosi di qualificata probabilità di colpevolezza allo stato degli atti e rebus sic stantibus, basato sugli elementi selezionati e presentati al giudice dal pubblico ministero, funzionali all’adozione della misura cautelare, e su di un materiale fluido, perché non sottoposto ancora a tutte le necessarie verifiche.
Poiché la misura limitativa della libertà personale è finalizzata a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto, esula dalla sua struttura e dalla sua funzione la valutazione circa l’utilità del dibattimento. Di conseguenza, in adesione all’orientamento espresso da una parte della giurisprudenza (Cass., Sez. 6, n. 35228 del 12/04/2013; ma contra Sez. 2, n. 38727 del 01/07/2009), si deve affermare che l’applicazione di una misura cautelare, pur se già sottoposta al vaglio del tribunale del riesame, implicando unicamente una probabilità di colpevolezza, non esclude di per sé il vaglio preventivo circa la sostenibilità dell’accusa in dibattimento. Sotto tale profilo, quindi, nel c.d. giudizio immediato custodiale l’adozione della misura cautelare, sia pure seguita dalla definizione della procedura di riesame (o, comunque, dal decorso dei termini per richiederla) non esaurisce il doveroso apprezzamento dell’evidenza probatoria, intesa come sostenibilità dell’accusa in giudizio e come inutilità della celebrazione dell’udienza preliminare. Tale apprezzamento va effettuato dopo l’esame di tutti gli atti delle investigazioni compiute e dopo avere offerto alla persona incolpata l’opportunità di interlocuzione – resa possibile dall’avviso a rendere interrogatorio e dalla indicazione dei fatti da cui risulta l’evidenza probatoria – nel rispetto dei termini indicati dall’art. 453, comma 1 -bis, C.p.P., funzionali a garantire la speditezza del processo, tenuto conto anche dello stato di privazione della libertà in cui versa l’imputato.
La giurisprudenza di legittimità ha affrontato la questione dell’omesso rispetto dei termini stabiliti dalla legge per l’instaurazione del giudizio immediato sotto diversi aspetti.
Tutte le decisioni mettono in luce la stretta correlazione logica esistente tra il requisito dell’evidenza probatoria che consente di passare alla fase dibattimentale senza il filtro dell’udienza preliminare e i termini contenuti stabiliti dall’art. 453 C.p.P. per l’espletamento delle indagini in coerenza con la fisionomia del rito che richiede la non complessità degli accertamenti.
Muovendo da questa considerazione preliminare di carattere logicosistematico, la giurisprudenza analizza due distinte situazioni che devono essere esaminate partitamente per ricostruire in maniera compiuta i diversi indirizzi: a) la tardività della sola richiesta di giudizio immediato, avanzata dal pubblico ministero dopo il compimento delle indagini entro i termini indicati rispettivamente dai commi 1 e 1 -bis dell’art. 453 C.p.P.; b) la prosecuzione delle indagini oltre i suddetti termini e la conseguente tardiva formulazione della domanda di instaurazione del rito da parte del pubblico ministero.
In merito al primo caso si argomenta che, qualora la prova evidente sia stata ottenuta nel rispetto dei termini di legge e il ritardo riguardi unicamente la presentazione della richiesta di giudizio immediato, si è in presenza di una mera irregolarità che non si riflette sugli atti successivi. Il termine per la richiesta di giudizio immediato non deve, infatti, essere considerato perentorio, ai sensi dell’art. 173 C.p.P., in assenza di un’espressa previsione di legge in tale senso (Cass., Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998).
Si esclude, inoltre, che la violazione del termine per la richiesta di giudizio immediato sia riconducibile alla previsione dell’art. 178, comma 1, lett. b), C.p.P., che prevede la nullità di ordine generale per la violazione di disposizioni concernenti l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e la sua partecipazione al dibattimento. L’ammissione di un giudizio immediato richiesto tardivamente dal pubblico ministero legittimato non incide né sul suo potere d’iniziativa né sul suo diritto di partecipazione al procedimento. Non si può neppure sostenere, con argomentazione evidentemente circolare, che tale tardività renda di per sé invalido l’esercizio dell’azione penale, perché il riferimento all’art. 178, comma 1, lett. b), C.p.P. serve appunto a qualificare l’invalidità dell’atto, sul presupposto che non sia sufficiente a tale scopo una qualsiasi violazione della legge processuale (Cass., Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998).
La tardiva instaurazione del giudizio immediato non è, d’altronde, inquadrabile nella previsione di cui all’art. 178, comma 1, lett. c), C.p.P., che prevede la nullità di ordine generale per la violazione delle norme concernente l’intervento dell’imputato. In base alla disciplina normativa del giudizio immediato, infatti, la disposizione che definisce le modalità d’intervento della persona sottoposta alle indagini è unicamente quella che stabilisce l’obbligo del preventivo interrogatorio o, comunque, della contestazione dell’addebito con invito a comparire ritualmente notificato (art. 453 C.p.P.).
Con riguardo alla seconda ipotesi, si osserva che la prosecuzione delle attività investigative oltre i periodi indicati rispettivamente dai commi 1 e 1-bis dell’art. 453 C.p.P., oltre a costituire una violazione del disposto normativo, contrasta con la ratio del rito prescelto, che presuppone una particolare celerità. Il protrarsi delle investigazioni oltre il periodo di tempo assegnato dalla legge per l’esercizio in tale forma dell’azione penale rileva, però, soltanto quando l’evidenza probatoria che giustifica l’impulso processuale scaturisca dall’esito delle investigazioni concluse oltre i periodi di tempo indicati dalla legge (Cass., Sez. 3, n. 273 del 26/09/1995). I principi sottesi a tale ultimo orientamento non appaiono pienamente sovrapponibili a quelli in precedenza illustrati, in quanto, da un lato, esaminano la questione concernente la prosecuzione delle indagini oltre il termine di legge non affrontata dall’indirizzo di cui si è prima detto e, dall’altro, introducono per la prima volta la distinzione sulla differente valenza delle attività d’indagine ai fini dell’integrazione dell’evidenza probatoria.
Nella successiva elaborazione giurisprudenziale è stata ulteriormente chiarita la distinzione concettuale tra prosecuzione delle indagini oltre i termini indicati dai commi 1 e 1-bis dell’art. 453 C.p.P. e tardiva presentazione della richiesta di giudizio immediato.
Si è, pertanto, osservato che il termine di novanta giorni previsto dall’art. 454, comma 1, C.p.P. per la richiesta di giudizio immediato da parte del pubblico ministero ha carattere tassativo per quanto attiene al compimento delle indagini, pur se limitatamente a quelle investigazioni da cui emerge l’evidenza della prova, e non agli ulteriori accertamenti ad esse complementari, non utilizzabili ai fini della decisione sulla richiesta di giudizio immediato, ma acquisibili, secondo le regole generali, nel dibattimento; ha, invece, natura di termine ordinatorio quanto alla richiesta del rito che può legittimamente essere presentata oltre il termine stabilito dalla legge, mancando un’espressa comminatoria normativa ed essendo tassativa la previsione contenuta nell’art. 173, comma 1, C.p.P. in ordine ai termini soggetti a tale sanzione. Il presupposto dell’evidenza probatoria deve, pertanto, essere acquisito nel rispetto dei termini fissati dal codice di rito, tenuto conto della ragione giustificatrice del giudizio immediato (Cass., Sez. 1, n. 26305 del 27/05/2004).
Si è, altresì, argomentato che, in caso di richiesta tardiva del pubblico ministero, occorre distinguere l’ipotesi in cui essa si riferisca, comunque, ad attività d’indagine svolte e completate nel lasso di tempo prescritto dalla norma da quello in cui, invece, l’evidenza della prova sia stata raggiunta mediante accertamenti conclusi oltre il lasso di tempo previsto. Soltanto in quest’ultimo caso è possibile ravvisare una violazione della ratio del giudizio immediato (Cass., Sez. n. 45079 del 26/10/2010; Sez. 3, n. 41579 del 04/10/2007; Sez. 3, n. 273 del 26/09/1995).
Principi analoghi sono stati affermati in materia di giudizio immediato “custodiale” con riferimento al quale si è osservato che, in presenza delle condizioni e dei presupposti previsti dai primi tre commi dell’art. 453 C.p.P., il termine di centottanta giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria per quanto attiene alla presentazione della richiesta di giudizio immediato (Cass., Sez. 6, n. 47348 del 01/12/2009; Sez. 6, n. 41038 del 20/10/2009).
Si è, poi, sottolineato che, pur essendo indubbia l’insindacabilità della valutazione compiuta dal giudice per le indagini preliminari circa l’evidenza della prova e l’impossibilità di annullare il decreto di giudizio immediato per la mancanza di una prova evidente, la decisione dibattimentale deve ponderare soltanto la consistenza degli accertamenti compiuti entro il termine fissato dalla legge per lo svolgimento delle indagini, sicché un errore di valutazione del pubblico ministero circa la tenuta del quadro probatorio può comportare l’affermazione di infondatezza dell’accusa. Sotto questo profilo, pertanto, il rischio che si assume il pubblico ministero è speculare a quello che accetta l’imputato, il quale chieda il giudizio immediato, rinunciando all’udienza preliminare (Cass., Sez. 3, n. 273 del 26/09/1995).
In coerenza con tale impostazione i termini fissati dall’art. 453 C.p.P. sono ritenuti perentori per il completamento delle indagini preliminari e meramente ordinatori ai fini della presentazione della richiesta (Cass., Sez. 1, n. 24617 del 10/04/2001).
Alla stregua di un indirizzo formatosi in tema di giudizio immediato custodiale, il termine per la richiesta del rito è ordinatorio o, comunque, meramente sollecitatorio e assolve precipuamente alla funzione di garantire la speditezza del procedimento, d’imporre al pubblico ministero il completamento delle indagini prima dell’applicazione della misura cautelare allo scopo di assicurare il rapido esercizio dell’azione penale e di limitare il rischio di scarcerazioni per decorrenza dei termini di custodia cautelare (Cass., Sez. 3, n. 41078 del 07/07/2011; Sez. 1, n. 2321 del 09/12/2009). Tale approdo ermeneutico si fonda sull’interpretazione letterale del comma 1 -bis dell’art. 453 C.p.P. e della clausola derogatoria in esso contenuta («anche fuori dei termini»), sulla previsione dell’art. 173, comma 2, C.p.P., secondo il quale i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dal legislatore, sulla mancanza, negli artt. 453, comma 1 -bis, e 454, comma 1, C.p.P. di una sanzione di decadenza analoga a quella contenuta nell’art. 458, comma 1, C.p.P. in tema di richiesta di giudizio abbreviato da parte dell’imputato.
Con riguardo al controllo della corretta instaurazione del giudizio immediato, la giurisprudenza prevalente rileva che la valutazione circa la sussistenza dell’evidenza della prova, presupposto del rito rispetto al quale i termini per lo svolgimento delle indagini e il previo interrogatorio della persona sottoposta alle indagini (ovvero la previa contestazione dell’accusa) sono strumentali, è riservata in via esclusiva al giudice per le indagini preliminari. Di conseguenza l’ammissione del giudizio immediato è sempre insindacabile da parte del giudice del dibattimento. Considerato che occorrerebbe riservare alla conclusione dell’istruzione dibattimentale la verifica della sussistenza dell’evidenza della prova da parte del giudice del dibattimento cui è ignota la gran parte degli atti delle indagini preliminari, sarebbe irrazionale una norma che, per consentire all’imputato l’esercizio del diritto di difesa, prevedesse la possibilità di un regresso del processo ad una fase, come quella dell’udienza preliminare, in cui ha minore estensione il suo diritto di provare e argomentare le proprie discolpe.
Nell’ambito del procedimento per l’ammissione del giudizio immediato, quindi, la tardività della richiesta del pubblico ministero non impedisce l’esercizio del diritto di difesa, ma incide soltanto sull’ammissibilità del rito, la cui valutazione è però riservata in via esclusiva al giudice per le indagini preliminari. D’altronde é la decisione di quest’ultimo e non la richiesta tardiva del pubblico ministero, che priva l’imputato dell’udienza preliminare. Sicché, se si dovesse ammettere un sindacato del giudice del dibattimento sul presupposto temporale del giudizio immediato, dovrebbe ammettersi un analogo sindacato anche sul presupposto probatorio del rito che è, invece, escluso dalla giurisprudenza e dalla dottrina prevalenti (Cass., Sez. 1, n. 9553 del 14/07/2000; Sez. 5, n. 5154 del 19/02/1992; Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998).
Sulla base di tali premesse è stato ritenuto abnorme il provvedimento di annullamento del decreto di giudizio immediato adottato dal giudice del dibattimento sul presupposto della ritenuta carenza del requisito dell’evidenza della prova, trattandosi di valutazione riservata in via esclusiva dall’ordinamento al giudice per le indagini preliminari. L’eventuale mancanza dell’evidenza della prova non può, quindi, comportare la regressione del procedimento ad una fase processuale precedente, non integrando alcuna nullità (Cass., Sez. 1, n. 45079 del 26/10/2010; Sez. 3, n. 12141 del 05/02/2008; Sez. 3, n. 179 del 15/11/2007; Sez. 4, n. 46761 del 25/10/2007; Sez. 3, n. 41579 del 04/10/2007; Sez. 4, n. 38592 del 27/06/2007, relativa ad una fattispecie in cui il giudice del dibattimento aveva annullato il decreto di giudizio immediato, ritenendo inutilizzabili gli atti d’indagine compiuti oltre il termine di legge, valutati dal giudice per le indagini preliminari ai fini dell’evidenza della prova; in senso conforme Cass., Sez. 1, n. 23927 del 14/04/2004).
Un indirizzo minoritario, pur non affrontando espressamente la questione della natura ordinatoria o perentoria per richiedere il giudizio immediato, ha ritenuto non abnorme il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento dichiara la nullità del decreto di giudizio immediato per il mancato rispetto dei suddetti termini da parte del pubblico ministero, osservando che trattasi di decisione rientrante nell’ambito dei normali poteri di controllo del giudice del dibattimento che non incide sui poteri d’iniziativa del pubblico ministero che ben può esercitare azione penale chiedendo la fissazione dell’udienza preliminare (Cass., Sez. 6, n. 8878 del 31/01/2003).
L’interpretazione logico-sistematica degli artt. 453, 454, 455 C.p.P. consente di scandire i singoli passaggi della progressione del giudizio immediato e di delineare i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri delle parti e del giudice, dai quali quello sviluppo dipende per assicurare la funzionalità del rito in relazione alle sue peculiari conformazioni risultanti dalle scelte del legislatore.
Il giudizio immediato può essere instaurato solo in presenza di determinati presupposti, specificamente indicati dal legislatore, equiparati e tra loro intimamente connessi.
L’evidenza probatoria non si pone come un dato oggettivo, costituendo il possibile risultato di un’attività investigativa realizzata entro termini predeterminati. In ragione della logica che ha ispirato le modifiche introdotte dalla L. n. 497 del 1974 e della peculiare valenza che la nozione di “evidenza” assume nel contesto dell’art. 453 C.p.P. rispetto ad analoghe espressioni ricorrenti nella disciplina di altri istituti (artt. 129, 389, 422 C.p.P.), è possibile affermare che l’evidenza probatoria consiste in una valutazione di tipo prognostico circa l’idoneità degli elementi acquisiti grazie ad indagini complete a sostenere l’accusa in giudizio, non diversa da quella compiuta nell’udienza preliminare. In altri termini, gli elementi raccolti nel corso delle indagini devono avere una tale pregnanza e significatività da rendere superflua la necessità della verifica dell’udienza preliminare e da escludere con certezza l’eventualità di un proscioglimento in tale sede all’esito del contraddittorio fra le parti e degli apporti argomentativi forniti in tale sede dalla difesa (Cass., Sez. U, n. 22 del 06/12/1991; Corte cost., nn. 276 del 1995 e 482 del 1992).
Come osservato da un’autorevole dottrina, il concetto di evidenza probatoria non può, però, prescindere da indagini complete, idonee a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi della contestazione, così come cristallizzata nella richiesta di emissione del provvedimento di vocatio in iudicium. Sotto questo profilo, è agevole cogliere la stretta correlazione esistente fra questo presupposto e gli altri, cui è subordinata la richiesta d’instaurazione del rito.
Il previo interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o, comunque, la contestazione dell’accusa con l’invito a comparire emesso nelle forme indicate nell’art. 375, comma 3, C.p.P. è indispensabile per porre la persona in condizione di esporre la sua versione, fornire le sue discolpe, adottare le più opportune iniziative defensionali, interloquire sulla natura, evidente o meno, delle prove, contrastare la richiesta di emissione del decreto di giudizio immediato e la sua eventuale adozione. Il contraddittorio effettivo (o, quanto meno, la possibilità dello stesso) in ordine all’esito delle investigazioni svolte dal pubblico ministero rappresenta un passaggio procedi menta le ineludibile per la formulazione del giudizio di evidenza della prova, implicante, come già detto, un apprezzamento di superfluità dell’udienza preliminare.
La previsione di termini predeterminati per lo svolgimento delle indagini e per la richiesta di instaurazione del rito costituisce un ulteriore presupposto coerente con gli altri legislativamente previsti, potendosi cogliere un chiaro nesso tra non particolare complessità delle indagini, evidenza della prova, stato detentivo della persona accusata (nel giudizio immediato c.d. custodiale), peculiari esigenze di celerità e di risparmio di risorse processuali che connotano tale rito (Corte cost. sentt. nn. 52 del 2004, 12 del 2003, 256 del 2003, 371 del 2002). Solo le indagini suscettibili di essere svolte in un tempo contenuto hanno la capacità d’indurre a quella valutazione di evidenza probatoria, destinata alla pronta verifica dibattimentale. Come osservato dalla dottrina e da una parte della giurisprudenza, il superamento dei termini stabiliti dall’art. 454 C.p.P. può legittimare una sorta di presunzione legale di non evidenza della prova (Cass., Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998).
La presentazione, ad opera del pubblico ministero, della richiesta di adozione di decreto di giudizio immediato rappresenta un atto d’impulso processuale, teso all’instaurazione del rito, soggetto al controllo del giudice per le indagini preliminari e alla condizione risolutiva dell’accoglimento della domanda stessa. Gli artt. 454 e 455 C.p.P. distinguono, infatti, nettamente il momento dell’iniziativa del pubblico ministero da quello relativo alla verifica giudiziale della sussistenza di tutti i presupposti per l’effettiva instaurazione del rito in questione.
La richiesta tardivamente presentata dal pubblico ministero o in quanto le indagini si siano protratte oltre il termine di legge o in quanto, pur essendosi gli accertamenti conclusi tempestivamente, il magistrato inquirente abbia omesso di trasmetterla alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari nel rispetto di quanto disposto dagli artt. 454, comma 1, e 453, comma 1 -bis, C.p.P, deve essere sottoposta al penetrante vaglio giurisdizionale del giudice per le indagini preliminari secondo i parametri normativamente stabiliti dal combinato disposto degli artt. 453, 454, 455 C.p.P. Di conseguenza, l’omesso rispetto dei termini nello svolgimento delle investigazioni e/o nella formulazione della richiesta di giudizio immediato, sia esso tipico che c.d. custodiale, ha rilievo sia come insussistenza di un presupposto necessario ed equipollente agli altri ai fini della corretta instaurazione del giudizio sia come elemento negativo della evidenza della prova.
La previsione, nell’ambito del giudizio immediato, di specifici limiti cronologici per lo svolgimento delle indagini preliminari costituisce il frutto di una precisa scelta operata dal legislatore al fine di soddisfare, da un lato, la necessità di imprimere tempestività alle investigazioni nei casi in cui la prova appare evidente (giudizio immediato ordinario) e, dall’altro, di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato in stato di custodia cautelare (giudizio immediato c.d. cautelare).
Tale opzione si raccorda intimamente alle finalità stesse dell’attività di indagine, destinata a consentire al pubblico ministero di assumere le proprie determinazioni inerenti all’esercizio della azione penale nelle forme di cui all’art. 453 C.p.P., con l’ovvio corollario che il compimento di investigazioni tendenzialmente complete entro il lasso di tempo stabilito dalla legge viene funzionalmente a correlarsi con la valutazione di evidenza della prova che consente al pubblico ministero, dopo avere ammesso la persona a fornire le proprie discolpe, di esercitare l’azione penale omettendo l’udienza preliminare a condizione che il giudice ritenga sussistenti tutti i presupposti del rito.
Tale approdo ermeneutico, oltre ad essere coerente con la ratio dell’istituto in esame, non limita né vanifica le attribuzioni istituzionali del pubblico ministero che, in caso di accertamenti complessi, insuscettibili di esaurirsi entro i precisi limiti temporali dettati, rispettivamente, dagli artt. 454 e 453, comma 1 -bis, C.p.P., ben può esercitare in altra forma l’azione penale mediante richiesta di rinvio a giudizio, come del resto si desume dalla previsione in termini di mera facoltatività contenuta nel primo comma dell’art. 454 C.p.P. («può chiedere») e dalla clausola di salvaguardia presente nel comma 1 -bis della medesima disposizione («salvo che la richiesta pregiudichi gravemente le indagini»).
L’enunciato che contraddistingue la disciplina normativa è, quindi, univoco nel suo valore e significato precettivo. La circostanza che il pubblico ministero sia tenuto a trasmettere alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari la richiesta di giudizio immediato entro i termini indicati, rispettivamente, dall’art. 454, comma 1, e 453, comma 1 -bis, C.p.P. evoca la configurazione di un siffatto incombente in termini di rigorosa “doverosità”, nel senso di riconnettere in capo all’organo titolare dell’azione penale uno specifico e indilazionabile obbligo giuridico di assumere le proprie determinazioni nei limiti cronologici stabiliti dalla legge, obbligo, che deve essere adempiuto senza alcuna soluzione di continuità rispetto al momento in cui sorgono i relativi presupposti.
In questo contesto non é, quindi, condivisibile, l’orientamento esegetico che, pur in assenza di qualsiasi espressa previsione normativa, distingue, ai fini della verifica della tempestività del rito, le attività d’indagine coessenziali ai fini dell’evidenza della prova rispetto alle altre ad essa estranee oppure differenzia il profilo attinente allo svolgimento delle indagini, che deve avvenire nel rispetto dei limiti cronologici perentori fissati dalla legge dal termine, da quello meramente ordinatorio, della presentazione della richiesta (cfr., con riferimento al giudizio immediato ordinario, Cass., Sez. 1, n. 24617 del 10/04/2001; Sez. 1, n. 26305 del 27/05/2004; Sez. 3, n. 273 del 26/09/1995; cfr, inoltre, in relazione al giudizio immediato custodiale Cass., Sez. 6, n. 41038 del 20/10/2009), ovvero qualifica come meramente “sollecitatorio” il termine per la richiesta di giudizio immediato (Cass., Sez. n. 41078 del 07/07/2011; Sez. 1, n. 2321 del 09/12/2009; Sez. 6, n. 47348 del 01/12/2009, tutte in tema di giudizio immediato custodiale).
Può, quindi, conclusivamente affermarsi il seguente principio di diritto: “L’inosservanza dei termini di novanta e centottanta giorni, previsti rispettivamente per la richiesta di giudizio immediato ordinario e per quello cautelare è rilevabile da parte dei giudice per le indagini preliminari, attenendo ai presupposti del rito”.
L’ordinamento processuale prevede un correttivo interno al sistema rispetto a possibili “patologie”, laddove affida al giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di giudizio immediato, il controllo circa la sussistenza dei presupposti per il passaggio alla fase dibattimentale senza la previa celebrazione dell’udienza preliminare.
Dal tenore letterale dell’art. 455 C.p.P. e dalla sua lettura logicosistematica insieme con gli artt. 453 e 454 C.p.P. si evince che il ruolo del giudice per le indagini preliminari assume un rilievo centrale e risolutivo nello sviluppo della sequenza procedi menta le che dalla fase delle indagini preliminari è suscettibile di approdo al dibattimento senza il previo contradditorio fra le parti in sede di udienza preliminare.
Lo spettro di valutazione affidato al giudice per le indagini preliminari non attiene a profili di ammissibilità formale, ma è ampio e penetrante, in quanto riguarda la verifica della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge, fra loro strettamente correlati e funzionali alla fisiologica e corretta dinamica procedimentale. Tale giudizio, pur non svolgendosi nelle forme del contraddittorio camerale (art. 127 C.p.P.), non evocabile in relazione alle forme introduttive di questo tipo di rito in ragione delle sue peculiari connotazioni e della sua ratio giustificativa (Corte cost., ordd. nn. 203 del 2002, 371 del 2002, 127 del 2003, 52 del 2004), non può prescindere dal compiuto esame degli argomenti offerti dalla difesa che, in sede d’interrogatorio o mediante memorie presentate ai sensi dell’art. 121 C.p.P., nel contestare la fondatezza dell’accusa, abbia motivatamente censurato la sussistenza dei presupposti per l’eventuale instaurazione del rito.
Lo scrutinio positivo comporta l’emissione del decreto che dispone il giudizio immediato, introduttivo della fase del dibattimento. Al contrario, la carenza di taluno dei presupposti indicati dagli artt. 453, commi 1 e 1 -bis, e 454 C.p.P. impone al giudice il rigetto della richiesta avanzata dal pubblico ministero cui gli atti devono essere conseguentemente restituiti per le sue ulteriori determinazioni in ordine a differenti modalità di esercizio dell’azione penale.
Attesa la sua natura endoprocessuale e meramente strumentale all’interno della più ampia sequenza procedimentale di approdo alla fase del dibattimento, il provvedimento adottato dal giudice per le indagini preliminari è insuscettibile di sindacato da parte del giudice del dibattimento (Cass., Sez. 3, n. 31728 del 28/03/2013; Sez. 6, n. 6989 del 10/01/2011; Sez. 4, n. 39597 del 27/06/2007; Sez. 1, n. 23927 del 14/04/2004; Sez. 1, n. 24617 del 10/04/2001; Sez. 1, n. 9553 del 14/07/2000; Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998; Sez. 5, n. 5154 del 19/02/1992) in coerenza del resto, con i principi affermati dalla Consulta che ha condivisibilmente affermato che non esiste una norma costituzionale che imponga di riconoscere anche al giudice del dibattimento il potere di valutare l’ammissibilità del rito (Corte cost. sent., n. 482 del 1992).
Il decreto che dispone il giudizio immediato (sia esso tipico che c.d. custodiale) chiude, invero, una fase di carattere endoprocessuale assolutamente priva di conseguenze rilevanti ai fini dell’eventuale condanna dell’imputato, i cui diritti di difesa non sono in alcun modo lesi dalla sua eventuale erronea adozione che può assumere semmai rilievo in ambiti diversi da quello processuale. Una conclusione del genere non è contraddetta dalla circostanza che il giudice del dibattimento può rilevare l’omesso interrogatorio dell’accusato prima della formulazione della richiesta di giudizio immediato. Tale vizio é, infatti, rilevabile dal giudice del dibattimento in quanto violazione di una norma procedimentale concernente l’intervento dell’imputato, sanzionata di nullità a norma degli artt. 178, comma 1, lett. c) e 180 C.p.P. e non in quanto carenza di un presupposto del rito.
Per queste ragioni non è condivisibile il minoritario orientamento giurisprudenziale che, pur con diversità di accenti, ritiene ammissibile una qualche forma di sindacato del giudice del dibattimento sul decreto di giudizio immediato emesso dal giudice per le indagini preliminari, talora ritenendo non abnorme l’ordinanza del giudice dibattimento che ne dichiari la nullità per insussistenza dei presupposti del rito (Cass., Sez. 6, n. 8878 del 31/01/2003), altre volte riconducendo impropriamente a tale ambito questioni concernenti l’utilizzazione degli atti (Cass., Sez. 3, n. 41777 del 16/04/2013; Sez. 3, n. 41867 del 11/07/2007; Sez. 1, n. 32722 del 04/07/2003).
La lettura delle norme che disciplinano l’ammissione del giudizio immediato sin qui delineata non solo è rispettosa dei principi desumibili dalla Costituzione (artt. 3, 24, 97, 101, 111), ma appare coerente con il complessivo assetto del processo penale che attribuisce rilevo centrale al dibattimento, quale sede fondamentale di verifica giurisdizionale in cui può esplicarsi con pienezza e nel contradditorio fra le parti il diritto di difesa. L’eventuale regressione del processo alla fase precedente in accoglimento di eccezioni difensive volte – come nel caso in esame – ad ottenere la declaratoria di nullità del decreto di giudizio immediato per omesso rispetto dei termini previsti dagli artt. 453, comma 1 -bis, e 454 C.p.P. sarebbe contrario ai principi dell’ordinamento processuale e ad esigenze di razionalità e di celerità. In un sistema tendenzialmente accusatorio, basato sulla centralità del dibattimento, una volta instaurato il giudizio immediato all’esito delle verifiche del giudice per le indagini preliminari, l’omesso rispetto dei termini è irrilevante, atteso il prevalente interesse dell’imputato alla celebrazione del giudizio in un tempo ragionevole. Inoltre, l’unico momento in cui il giudice del dibattimento sarebbe in condizione di potere verificare la correttezza della precedente valutazione operata dal giudice per le indagini preliminari in ordine all’evidenza della prova è quello che si colloca al termine del l’istruttoria dibattimentale.
Sulla base delle considerazioni sinora svolte, deve affermarsi il seguente principio di diritto:
“La decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato non può essere oggetto di ulteriore sindacato”.
Corte di Cassazione penale Sezioni Unite n. 42979 del 14 ottobre 2014