Il body shaming su Facebook per le caratteristiche fisiche di una persona integra il reato di diffamazione per il fatto che i messaggi lesivi raggiungono non soltanto la persona offesa, bensì anche una moltitudine di persone.
Nel caso di specie l’imputato offendeva la reputazione della persona offesa perchè, comunicando attraverso il social network “Facebook” e pubblicando opinioni in un “post” pubblico … faceva espresso riferimento a deficit visivi della parte civile, dileggiandola.
La condotta di chi mette alla berlina una persona per talune caratteristiche fisiche, comunicando con più persone, può certo considerarsi un’aggressione alla reputazione di una persona, come già statuito dalla Corte di legittimità (Cass., Sez. V, n. 32789 del 13/05/2016: integra il reato di diffamazione il riferirsi ad una persona con una espressione che, pur richiamando un handicap motorio effettivo, contenga una carica dispregiativa che, per il comune sentire, rappresenti una aggressione alla reputazione della persona, messa alla berlina per le sue caratteristiche fisiche; nella fattispecie la Suprema Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di condanna nei confronti del soggetto che, comunicando con più persone, qualificava la persona offesa nel contesto di una discussione come “la zoppetta“).
Che la reputazione individuale (da non confondersi, naturalmente, con la mera considerazione che ciascuno ha di sé o con il semplice amor proprio, posto che il bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’art. 595 c.p. è eminentemente relazionale, tutelando il senso della dignità personale in relazione al gruppo sociale) sia un diritto inviolabile, strettamente legato alla stessa dignità della persona è stato ricordato, più di recente dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 150 del 2021.
Ed è proprio la correlazione tra dignità e reputazione a venir in rilievo nel caso di specie, posto che le espressioni adoperate dell’imputato sottendono una deminutio della persona offesa, che, in quanto ipovedente, non avrebbe dignità di interlocuzione pari a quella degli altri utenti della piattaforma.
Inoltre la Suprema Corte ricorda che l’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore. (Cass., Sez. V, n. 10313 del 17/01/2019).
Nei casi in cui il limite tra ingiuria e diffamazione si fa più opaco, il punto, allora, è capire se e quando l’offeso sia stato concretamente in condizioni di replicare.
Pronunciandosi sul discrimine tra diffamazione e ingiuria in caso di offese espresse per il tramite di piattaforme telematiche con servizio di messaggistica istantanea e comunicazioni a più voci (Google Hangouts) la Corte di legittimità ha chiarito che soltanto il requisito della contestualità tra comunicazione dell’offesa e recepimento della stessa da parte dell’offeso vale a configurare l’ipotesi dell’ingiuria.
In difetto del requisito della contestualità, (che non risulta in alcun modo emerso nel corso del processo), l’offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore; nel qual caso, si profila l’ipotesi della diffamazione (Cass., Sez. V, n. 10905 del 25/02/2020: fattispecie in tema di chat vocale sulla piattaforma Google Hangouts).
In considerazione dei tanti, possibili contesti (legati o non al progresso tecnologico) in cui un’espressione offensiva può esternarsi, può dunque osservarsi che la diffamazione, avente natura di reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l’espressione ingiuriosa, a condizione che essi siano, in quel momento e in quel luogo (virtuale o non), in grado di difendersi (Cass., Sez. V n. 38099 del 29 maggio 2015).
Corte di Cassazione, Sez. V, 19 gennaio 2023, n. 2251