I limiti di pena edittale per l’accesso alla messa alla prova
Va, in premessa, rammentato (cit. Sezioni Unite, nella sentenza Sorcinelli n. 36272 del 31/03/2016), nell’occuparsi dei criteri da seguire per individuare i limiti di pena edittale ostativi all’accesso alla messa alla prova, hanno, tra l’altro, chiarito che la messa alla prova “realizza una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita e si connota per una accentuata dimensione processuale, che la colloca nell’ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio (Corte cost., n. 240 del 2015).
Ma di essa va riconosciuta, soprattutto, la natura sostanziale. Da un lato, nuovo rito speciale, in cui l’imputato che rinuncia al processo ordinario trova il vantaggio di un trattamento sanzionatorio non detentivo; dall’altro, istituto che persegue scopi special-preventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto. La sospensione del procedimento dà luogo ad una fase incidentale in cui si svolge un vero e proprio esperimento trattamentale, sulla base di una prognosi di astensione dell’imputato dalla commissione di futuri reati che, in caso di esito positivo, determina l’estinzione del reato. Il percorso di “prova” comporta per l’imputato l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato e, se possibile, il risarcimento dei danni in favore della persona offesa, quindi l’affidamento al servizio sociale sulla base di un programma e, infine, la prestazione di un lavoro di pubblica utilità.
Il legislatore ha dato impulso ad un profondo ripensamento del sistema sanzionatorio che ancora oggi «gravita tolemaicamente intorno alla detenzione muraria».
Il nuovo corso è testimoniato dalla legge n. 67 del 2014, che ha introdotto, tra l’altro, la messa alla prova e la particolare tenuità del fatto. Si tratta di istituti diretti a contenere l’inflazione penalistica, nel tentativo di ridurre la crisi della sanzione penale, rendendo possibile il ricorso a reazioni “appropriata alla specificità dei fatti criminosi”, in una concezione gradualistica dell’illecito, verso l’obiettivo di una razionalizzazione e laicizzazione del sistema penale attraverso la concentrazione delle risorse disponibili sugli illeciti di maggior significato e una lettura realistica del principio di obbligatorietà dell’azione penale, con la consapevolezza che la pena può non essere la conseguenza ineluttabile di ogni reato. Da qui il carattere innovativo della messa alla prova che segna un ribaltamento dei tradizionali sistemi di intervento sanzionatorio.
In considerazione delle finalità specialpreventive perseguite dall’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova e, di conseguenza, del soddisfacimento delle esigenze di prevenzione generale tramite un trattamento che conserva i caratteri sanzionatori, seppure alternativi alla detenzione, risulta pertanto plausibile una sua applicazione anche a reati ritenuti astrattamente gravi“.
Nella medesima sentenza le Sezioni Unite hanno ulteriormente chiarito, quanto alla valutazione da compiere in sede di ammissione, che “il giudizio effettivo di ammissione del rito resta riservato alla valutazione del giudice circa l’idoneità del programma trattamentale proposto e la prognosi di esclusione della recidiva: valutazione, questa, che si svolge in base ai parametri dell’art. 133 cod. pen., i quali attengono alla gravità del reato, desunta dalla condotta, dall’entità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa e dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Ed è proprio questa la fase in cui assume effettivo e concreto rilievo la gravità dell’illecito“.
Tali principi sono stati recepiti dalla giurisprudenza successiva, che ha ulteriormente precisato, a proposito della valutazione da compiere all’atto della ammissione alla prova, che questa è subordinata al vaglio discrezionale del giudice di merito circa la possibilità di rieducazione e di inserimento dell’interessato nella vita sociale ed è espressione di un giudizio prognostico, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione, condotto sulla scorta dei molteplici indicatori desunti dall’art. 133 cod. pen., inerenti sia alle modalità della condotta che alla personalità del reo, sulla cui base ritenere che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati (Sez. 6, n. 37346 del 14/09/2022, Boudraa, Rv. 283883 — 01; v. anche Sez. 3, n. 23934 del 11/04/2024, Cavatorta, Rv. 286660 – 01).
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 3 n. 13566 del 2025