Guidare in stato di ebbrezza
L’art. 186 cod. strada, nel testo attualmente vigente, stabilisce in via generale il divieto di guidare in stato di ebbrezza (comma 1). A seconda del valore del tasso alcolemico accertato, prevede, al comma 2, tre distinti illeciti: uno di carattere amministrativo e, gli altri due, di carattere penale.
Stabilisce, infatti, che la condotta in questione, ove non costituisca più grave reato, è punita:
a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 543 ad euro 2.170, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro; all’accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
b) con l’ammenda da euro 800 ad euro 3.200 e l’arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro; all’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
c) con l’ammenda da euro 1.500 ad euro 6.000 e l’arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro; all’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni, nonché la confisca del veicolo, salvo che questo appartenga a terzi.
Lo stesso art. 186 cod. strada, al comma 2-bis – aggiunto nel 2007, nel testo oggi vigente a seguito delle modificazioni introdotte dall’art. 33, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) – prevede che se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni indicate sono raddoppiate.
Il comma 9-bis del medesimo articolo – disposizione introdotta dall’art. 33, comma 1, lettera d), della stessa legge n. 120 del 2010 – stabilisce, inoltre, che, al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468) secondo le modalità ivi previste e consistenti nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività, da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale. Il lavoro di pubblica utilità, tuttavia, può sostituire la pena per non più di una volta.
Gli artt. 224 e 224-ter cod. strada – quest’ultimo introdotto dall’art. 44, comma 1, della citata legge n. 120 del 2010 – disciplinano, rispettivamente, il procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della sospensione e della revoca della patente e quello di applicazione delle sanzioni amministrative accessorie della confisca amministrativa e del fermo amministrativo in conseguenza di ipotesi di reato.
In particolare, l’art. 224, comma 3, e l’art. 224-ter, comma 6, prevedono che la declaratoria di estinzione del reato per morte dell’imputato importa l’estinzione della sanzione amministrativa accessoria.
Nel caso di estinzione del reato per altra causa, il prefetto procede all’accertamento della sussistenza delle condizioni di legge per l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria e procede, ai sensi degli artt. 218 e 219 cod. strada nelle parti compatibili, all’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida e, ai sensi degli artt. 213 e 214 cod. strada, in quanto compatibili, all’applicazione della sanzione accessoria della confisca, stabilendo, altresì, che l’estinzione della pena successiva alla sentenza irrevocabile di condanna non ha effetto sull’applicazione della sanzione amministrativa accessoria.
A sua volta, l’art. 168-bis del codice penale, inserito dall’art. 3, comma 1, della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), ha introdotto nel sistema penale l’istituto della messa alla prova, stabilendo che, «[n]ei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova».
Questa comporta, oltre alla prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, e, ove possibile, al risarcimento del danno, l’affidamento dell’imputato al servizio sociale e la prestazione di lavoro di pubblica utilità.
Ai sensi dell’art. 168-ter, secondo comma, cod. pen. – inserito dal medesimo art. 3, comma 1, della legge n. 67 del 2014 –, «[l]’esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede. L’estinzione del reato non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge».
CORTE COSTITUZIONALE sentenza n.163 del 2022