La Fontana del Prigione si trova a Roma in Via Goffredo Mameli, all’incrocio con via Luciano Manara, alle pendici del Gianicolo, nel rione Trastevere.
A seguito della realizzazione dell’Acquedotto Felice, (o “Acqua Felice” dal nome del suo edificatore, il Papa Sisto V, ovvero Felice Peretti) si progettano un complesso di fontane pubbliche e private allo scopo di garantire l’approvvigionamento idrico di una serie zone romane, tra cui i colli Viminale e Quirinale.
La Fontana del Prigione viene realizzata tra il 1587 e il 1590 dall’ architetto italiano Domenico Fontana su commissione di Papa Sisto V ( all’epoca Felice Peretti) per la sua Villa Peretti Montalto, collocata sui colli Viminale, Quirinale e l’Esquilino e che in origine comprendeva anche un vasto parco, progettato sempre da Domenico Fontana, con oltre trenta fontane tra le quali anche la Fontana del Prigione.
Successivamente, verso la fine dell’ Ottocento Villa Peretti Montalto viene demolita per lasciare il posto alla costruzione della nuova stazione ferroviaria (ovvero la attuale Stazione Termini), e la fontana viene acquistata dal Comune di Roma; in principio viene spostata in Via Genova e in seguito viene collocata nella odierna posizione, in Via Goffredo Mameli.
Fedele alla composizione originaria, la Fontana del Prigione, in travertino, stucco e marmo, si presenta con una grande nicchia centrale delimitata, lateralmente da due lesene, al di sopra delle quali si eregge il frontone decorato da protomi leonine (simbolo araldico di Papa Sisto V) e festoni di fiori. L’acqua fuoriesce da una testa di leone collocata al centro della nicchia e viene raccolta in un bacino posto a livello del terreno.
Alla base delle due lesene sono presenti due piccole vaschette circolari in sospensione che raccolgono l’acqua a sua volta.
Il nome “Prigione” deriva dalla antica presenza di una statua di marmo ovvero un prigioniero che tentava di liberarsi dalla materia.
La scultura del Prigione era situata nella nicchia centrale e faceva parte di un complesso architettonico che comprendeva anche le statue di Apollo e Venere, andate perdute, così come la testa della statua di Esculapio che era collocata sulla sommità dell’opera.