La materia della filiazione è stata profondamente modificata dalla Legge n. 219/2012 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17.12.2012, poi completato dal D.Lgs. 154/2013), che ha disposto in primo luogo la parificazione tra figli legittimi e figli naturali (ovvero i figli nati fuori dal matrimonio) ed ha affermato il principio della unicità dello stato di figlio.
Nel codice civile, a seguito della riforma, le parole: “figli legittimi” e “figli naturali“, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente: “figli“. Tale principio è stato codificato nell’art. 315 C.c.: “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” secondo il dettato costituzionale “La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima” (art. 30, comma 3, Costituzione).
Le modifiche, ad ampio raggio, partono dal nuovo concetto di parentela codificato nell’art. 74 C.c.: “La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo“.
Altri aspetti salienti della Legge di riforma riguardano la Presunzione di paternità, la Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, i Diritti e doveri del figlio, il Riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio, la Responsabilità’ genitoriale, la disciplina delle Successioni e delle Donazioni.
La Presunzione di paternità viene rimodulata all’art. 231 C.c.: “Il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio” e all’art. 232 C.c.: “Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio” (salvo azione di disconoscimento).
La Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità viene disciplinata nell’art. 269 C.c.: “La paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo (30 Cost.)“.
Nell’ambito dei Diritti e doveri del figlio è stato inserito l’art. 315-bis C.c. incentrato sulla figura del minore: “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa“. A tale norma si ricollega l’art. 279 C.c.: “In ogni caso in cui non può proporsi l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, il figlio nato fuori del matrimonio può agire per ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione. Il figlio nato fuori dal matrimonio se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti, a condizione che il diritto al mantenimento di cui all’articolo 315 bis, sia venuto meno“.
Il Riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio viene disciplinato dall’art. 250 C.c.: Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, … dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente.
Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio.
Il figlio che ha compiuto i quattordici anni deve dare il suo assenso; in caso contrario il riconoscimento non produce effetto.
Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento. Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all’altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l’audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l’opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315 bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262.
Le modalità del riconoscimento del figlio naturale sono disciplinate dall’articolo 254 C.c.: “Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio è fatto nell’atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo”.
Il riconoscimento del figlio “incestuoso“, ovvero il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, è subordinato, a seguito della riforma del 2012, all’autorizzazione del Giudice avuto riguardo all’interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio (art. 251 C.c.).
Il primo comma dell’articolo 258 C.c. afferma che “Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso“.
Viene, pertanto, delineata la nozione di responsabilità’ genitoriale quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale (Legge n. 219/2012, art. 2, lett. h) di cui all’art. 316 C.c.: “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. Il giudice, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio. Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi“.
Viene disposto un adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello stato di figlio (Legge n. 219/2012, art. 2, lett. l) di cui all’art. 565 C.c., nel quale viene eliminato il riferimento ai soli ascendenti legittimi: “Nella successione legittima l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato, nell’ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo“, e alla disciplina di cui all’art. 580 Cc.: “Ai figli nati fuori del matrimonio aventi diritto al mantenimento, all’istruzione e all’educazione, a norma dell’articolo 279, spetta un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta. I figli nati fuori del matrimonio hanno diritto di ottenere su loro richiesta la capitalizzazione dell’assegno loro spettante a norma del comma precedente, in denaro, ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari“. A tale norma si ricollega la disposizione di cui all’art. 594 C.c.: “Gli eredi, i legatari e i donatari sono tenuti, in proporzione a quanto hanno ricevuto, a corrispondere ai figli nati fuori del matrimonio di cui all’articolo 279, un assegno vitalizio nei limiti stabiliti dall’articolo 580, se il genitore non ha disposto per donazione o testamento in favore dei figli medesimi. Se il genitore ha disposto in loro favore, essi possono rinunziare alla disposizione e chiedere l’assegno“. Ulteriore modifiche viene effettuata con riguardo all’art. 537 C.c. (c.d. diritto di commutazione) stabilendo che “Salvo quanto disposto dall’articolo 542 se il genitore lascia un figlio solo, a questi è riservata la metà del patrimonio. Se i figli sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli“.