La conferma dell’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio maggiorenne ma ancora impegnato negli studi universitari, trova infatti giustificazione nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il predetto obbligo non cessa immediatamente ed automaticamente per effetto del raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma perdura finchè non venga fornita la prova che quest’ultimo ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (cfr. Cass., Sez. VI, 7/09/2015, n. 17738; Cass., Sez. I, 8/02/2012, n. 1773; 26/09/2011, n. 19589).
Nell’escludere la sussistenza di cause ostative, il giudice deve attenersi ai criteri individuati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il predetto accertamento dev’essere effettuato tenendo conto dell’età, delle aspirazioni e dell’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica da parte del figlio, nonchè dell’impegno dallo stesso profuso nella ricerca di un’occupazione e, più in generale, della complessiva condotta personale da lui tenuta dal momento del raggiungimento della maggiore età (cfr. Cass., Sez. VI, 5/03/2018, n. 5088; Cass., Sez. I, 22/06/2016, n. 12952).
Nel caso di specie il giudice di merito ha rilevato infatti che il figlio maggiorenne, dopo aver svolto per un breve periodo di tempo un’attività lavorativa, l’aveva abbandonata per riprendere gli studi universitari, e ha posto in risalto l’età ancor giovane e l’estraneità del predetto impiego alle sue aspirazioni professionali, concludendo che il predetto comportamento non costituiva sintomo di un ingiustificato rifiuto di rendersi economicamente indipendente, ma della volontà di impegnarsi attivamente per condurre a termine gli studi e trovare un’occupazione più confacente ai propri interessi. Tale iter logico, immune da lacune o contraddizioni, tiene conto della giovane età del figlio e della breve durata dell’attività lavorativa da quest’ultima svolta, correttamente poste in risalto dalla Corte territoriale a sostegno della valutazione del predetto periodo come una parentesi in una fase dell’esistenza ancora dedicata alla formazione, nonchè dell’evidenziata conformità della successiva determinazione di completare gli studi con le aspirazioni della ragazza e della compatibilità di tale scelta con il livello sociale e culturale del nucleo familiare e con le disponibilità economiche dei genitori.
Il tutto secondo il disposto dell’art. 147 c.c. e art. 315-bis c.c., comma 1, i quali, nel porre a carico dei genitori il mantenimento, l’istruzione, l’educazione e l’assistenza morale dei figli, individuano, quali canoni di orientamento e misura dell’adempimento del relativo obbligo, per un verso il rispetto delle capacità del figlio e delle sue inclinazioni naturali e aspirazioni, e per altro verso i redditi e le sostanze dei genitori e la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Se è vero, infatti, che il diritto del figlio al mantenimento, anche dopo il raggiungimento della maggiore età, non esclude il suo dovere di adoperarsi per rendersi quanto prima economicamente autonomo, impegnandosi con profitto negli studi o nella formazione professionale ed attivandosi, completati gli stessi, per il reperimento di un’occupazione adeguata alle proprie capacità ed alla propria specializzazione, nonchè compatibile con le opportunità reali offerte dal mercato del lavoro (cfr. Cass., Sez. I, 14/08/2020, n. 17183), è anche vero, però, che è compito dei genitori di assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio, consentendogli di orientare la sua istruzione in conformità dei suoi interessi e di cercare un’occupazione appropriata al suo livello sociale e culturale, anche mediante la somministrazione dei mezzi economici a tal fine necessari, senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate. (Cass. Ord. n. 23318/2021)