Fake lab. Contraffazione o originalità
In tema di fake lab la riproduzione dei marchi non è idonea a creare confusione con i prodotti protetti dai marchi tutelati.
Nel caso di specie i prodotti in sequestro presentavano appunto una indiscussa originalità dato che risultano caratterizzati da immagini create attraverso l’ “uso” di marchi noti, non a fini “distintivi“, e dunque “imitativi“, ma piuttosto a fini “parodistici“, ovvero “artistici e descrittivi“, essendo le immagini censurate funzionali ad effettuare una riproduzione ironica di marchi celebri, inidonea a creare confusione con i prodotti protetti dai marchi tutelati e dunque incompatibile con la contestata contraffazione che, si ripete, deve essere invece connotata dalla idoneità del prodotto che si assume falsificato a confondersi con l’originale.
Perché sia riconoscibile la contraffazione è tuttavia necessario che il prodotto che si assume falsificato sia confondibile con gli originali e sia idoneo a creare confusione nel consumatore: il marchio ha infatti una precisa funzione distintiva funzionale a garantire l’affidamento dei consumatori sulla originalità del prodotto commerciato.
In materia la giurisprudenza civile ha infatti chiarito che il titolare del marchio previamente registrato non può vietare di per sé l’uso del segno distintivo in qualsiasi forma ove non sussista la confondibilità o l’affinità dei prodotti o servizi; ciò anche nel caso in cui ricorra l’inclusione nella stessa classe, che non è idonea in quanto tale a provarne l’affinità (Cass., Sez. 1 , Sentenza n. 20189 del 18/08/2017).
In linea con tali indicazioni anche giurisprudenza penale ha ribadito la necessità che i beni contraffatti siano prodotti la fine di confondere il consumatore sull’originalità della provenienza sulla base dell’incontestato presupposto che il marchio abbia la funzione di “distinguere” il prodotto certificato dagli altri: si è infatti affermato che ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 474 cod. pen., l’alterazione di marchi prevista dall’art. 473 comprende anche la riproduzione solo parziale del marchio, idonea a far sì che esso si confonda con l’originale e da verificarsi mediante un esame sintetico – e non analitico – dei marchi in comparazione, che tenga conto dell’impressione di insieme e della specifica categoria di utenti o consumatori cui il prodotto è destinato, soprattutto se si tratta di un marchio celebre (Sez. 5, n. 33900 del 08/05/2018 – dep. 19/07/2018; Sez. 2, n. 9362 del 13/02/2015 – dep. 04/03/2015; Sez. 5, n. 25147 del 31/01/2005 – dep. 11/07/2005).
A ciò si aggiunge che la Direttiva UE 2015/2436 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa nel considerando n. 27 ha chiarito che «l’uso di un marchio d’impresa da parte di terzi per fini di espressione artistica dovrebbe essere considerato corretto a condizione di essere al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale».
Si ritiene cioè che la confondibilità con l’originale del prodotto che si assume falsificato costituisce un attributo indispensabile per il riconoscimento della contraffazione, che non può rinvenirsi nei casi in cui il marchio sia utilizzato con palesi finalità ironiche e parodistiche, per la creazione di prodotti nuovi ed originali, caratterizzati da immagini che, pur facendo uso del marchio registrato, sono sicuramente inidonee a creare confusione con i beni tutelati, dato che è immediatamente evidente il messaggio parodistico che esclude ictu acuii ogni possibilità di confusione.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 2 n. 35166 del 2019