La Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia in commento affronta la questione inerente l’ammissibilità o meno della revoca unilaterale del consenso alla domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Nel caso di specie, il giudice di primo e secondo grado avevano dichiarato improcedibile la domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio, rilevando che all’udienza di comparizione dei coniugi la donna aveva revocato il consenso precedentemente prestato.
In tema di divorzio a domanda congiunta, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che l’accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale, la cui sussistenza è soggetta a verifica da parte del tribunale, avente pieni poteri decisionali al riguardo, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici, nel cui merito il tribunale non deve entrare, a meno che le condizioni pattuite non si pongano in contrasto con l’interesse dei figli minori. La revoca del consenso da parte di uno dei coniugi, mentre risulta irrilevante sotto il primo profilo, in quanto il ritiro della dichiarazione ricognitiva non preclude al tribunale il riscontro dei presupposti necessari per la pronuncia del divorzio, è inammissibile sotto il secondo, dal momento che la natura negoziale e processuale dell’accordo intervenuto tra le parti in ordine alle condizioni del divorzio ed alla scelta dell’iter processuale esclude la possibilità di ripensamenti unilaterali, configurandosi la fattispecie non già come somma di distinte domande di divorzio o come adesione di una delle parti alla domanda dell’altra, ma come iniziativa comune e paritetica, rinunciabile soltanto da parte di entrambi i coniugi (cfr. Cass., Sez. 6^, 13/02/2018, n. 10463; Cass., Sez. 1^, 8/07/1998, n. 6664).
Non può quindi condividersi l’affermazione (riportata nella sentenza impugnata) secondo cui, analogamente a quanto accade nel procedimento di separazione consensuale, la revoca del consenso da parte di uno dei coniugi comporta il venir meno del requisito indispensabile per l’accoglimento della domanda, rappresentato dall’intesa tra le parti, configurandosi la stessa come un atto unitario ed essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente, rispetto al quale la pronunzia del tribunale è rivolta unicamente ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo stipulato dai coniugi. La prospettata analogia tra la separazione consensuale ed il divorzio a domanda congiunta si pone d’altronde in contrasto con le profonde differenze riscontrabili tra le relative discipline, una delle quali (come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata) individua il presupposto sostanziale della fattispecie nell’accordo tra i coniugi, al quale il tribunale è chiamato ad attribuire efficacia dall’esterno, mediante un’attività di controllo che non può mai tradursi in un’integrazione o una sostituzione del consenso delle parti, mentre l’altra, pur muovendo da un ricorso congiunto, richiede una pronuncia costitutiva, fondata sull’accertamento dei presupposti richiesti dalla L. n. 898 del 1970, art. 3, con la conseguenza che mentre il primo procedimento è annoverabile tra quelli di giurisdizione volontaria, il secondo costituisce espressione di giurisdizione contenziosa. Le predette differenze trovano conferma anche nella diversa disciplina dettata per l’ipotesi in cui le condizioni relative all’affidamento ed al mantenimento dei figli appaiano in contrasto con il loro interesse, dal momento che per la separazione l’art. 158 c.c., comma 2, consente al tribunale di suggerire le necessarie modificazioni e, in caso d’inidonea soluzione, di rifiutare allo stato l’omologazione, mentre la L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, prevede l’adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose.
La giurisprudenza di legittimità ritiene, pertanto, non ammissibile la revoca unilaterale del consenso alla domanda congiunta di divorzio, in quanto, a differenza di quanto accade nella separazione consensuale, la stessa non impedisce l’accertamento della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del matrimonio e non comporta il venir meno degli accordi patrimoniali intervenuti tra i coniugi, a meno che la domanda non costituisce il frutto di errore, violenza o dolo. In applicazione dei richiamati principi, nel caso di specie, deve escludersi che la revoca del consenso da parte della donna comportasse l’arresto del procedimento, dovendo il tribunale provvedere ugualmente all’accertamento dei presupposti per la pronuncia del divorzio, per poi passare, in caso di esito positivo della verifica, all’esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone la conformità a norme inderogabili ed agli interessi dei figli minori, (ove presenti).
Corte di Cassazione, ordinanza 24 Luglio 2018 n. 19540