Diritto all’identità personale a persone giuridiche e enti non personificati
Il diritto cd. all’identità personale è venuto progressivamente a differenziarsi da altre figure (quali, per quanto qui di specifico interesse, il diritto all’immagine) per avere ad oggetto quello specifico bene-valore costituito dalla proiezione sociale della complessiva personalità del soggetto, alla base del quale si colloca l’interesse del medesimo ad essere rappresentato – nel contesto generale delle relazioni sociali – con la sua vera identità e, cioè, a non vedere modificato, offuscato o, comunque, alterato all’esterno il proprio patrimonio di valori intellettuali, ideologici, politici, etici, religiosi, sociali, umanitari etc., come già estrinseca osi (o destinato comunque ad estrinsecarsi) nell’ambiente sociale e, ciò, secondo indici di previsione costituiti da circostanze obiettive ed univoche.
Già la risalente Cass. n. 3769 del 1985, invero, chiarì, significativamente, che «mentre i segni distintivi (nome, pseudonimo, ecc.) identificano, nell’attuale ordinamento, il soggetto sul piano dell’esistenza materiale e della condizione civile e legale e l’immagine evoca le mere sembianze fisiche della persona, l’identità rappresenta, invece, una formula sintetica per contraddistinguere il soggetto da un punto di vista globale nella molteplicità delle sue specifiche caratteristiche e manifestazioni (morali, sociali, politiche, intellettuali, professionali, ecc.), cioè per esprimere la concreta ed effettiva personalità individuale del soggetto quale si è venuta solidificando od appariva destinata, in base a circostanze univoche, a solidificarsi nella vita di relazione».
La riferibilità del diritto all’identità personale a soggetti diversi dalle persone fisiche nemmeno ha creato particolari perplessità in dottrina: già nel 1970, si era parlato di un diritto all’identità personale delle persone giuridiche, estensibile (sebbene con formula dubitativa) anche agli enti non dotati di personalità giuridica.
In seguito, anche sotto la spinta di una sempre crescente produzione giurisprudenziale, sia cautelare che di merito, in tema di identità di partiti politici ed altri soggetti non dotati di personalità giuridica (ad esempio, comitati promotori di referendum), si è definitivamente consolidata la tesi che anche enti non personificati sono titolari del diritto all’identità personale. Infatti, a fronte della definizione sopra offerta, ed ammessa in linea generale la possibilità che enti collettivi siano titolari di diritti della personalità, non sembrano esservi seri ostacoli concettuali a riconoscere la titolarità del diritto all’identità personale anche in capo a persone giuridiche ed enti non personificati. È evidente, infatti, che, al pari delle persone fisiche, anche enti collettivi possono essere portatori di un progetto politico, di una linea ideologica, di un disegno culturale e quant’altro. Anzi, come pure opinatosi, nel caso di un ente “morale” o esponenziale, che persegue statutariamente determinate finalità, potrebbe addirittura risultare più agevole che per una persona fisica l’accertamento di quella «sostanza piuttosto pericolosa» che è la “verità personale”, il cui travisamento può mettere in moto tecniche di tutela, a seconda dei casi, inibitorie o risarcitorie.
Il definitivo avallo giurisprudenziale di tale tendenza si è avuto con la già citata sentenza della Corte di cassazione n. 3769 del 1985, sul cd. “caso Veronesi”: in quella sede, invero, il Supremo Collegio ebbe modo di precisare che il diritto all’identità personale spetta non solo alle persone fisiche ma anche a quelle giuridiche ed agli enti non personificati.
L’art. 2 della Costituzione, del resto, garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e, tra questi, vi è il diritto dell’identità, che non spetta solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche ed alle associazioni non riconosciute (cfr. Cass. n. 23401 del 2015).
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 1 n. 26801 del 2023