La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la sussistenza del reato di diffamazione ex art. art. 595 C.p, nel caso di specie del reato di diffamazione a mezzo e-mail, sia sotto il profilo della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato della diffusione della comunicazione a più persone, che di quello soggettivo dell’intenzione di ledere l’altrui reputazione.
E’ il caso di premettere, ai fini di un corretto inquadramento della questione rispetto al caso di specie, che l’utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della “comunicazione con più persone” anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, quando l’accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l’ordinaria diligenza (cfr. Cass., Sez. 5, n. 522 del 26/05/2016), salva l’esplicita indicazione di riservatezza.
Sicché, anche in caso di inoltro della comunicazione per posta ordinaria, è possibile ritenere la sussistenza del requisito oggettivo, ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, della “comunicazione con più persone” anche nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio, inviato tramite posta elettronica, ad una sola persona determinata; e ciò sia quando l’accesso alla casella mail sia consentito almeno ad un altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l’ordinaria diligenza, sia in tutti i casi in cui la comunicazione inviata via mail a un solo soggetto sia, come prevedibile – con giudizio da operarsi ex ante rispetto alla ricezione – , stata diffusa o comunque posta a conoscenza di almeno un altro soggetto.
D’altronde l’invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 44980 del 16/10/2012) ove non ricorra contestualità nel recepimento del messaggio (Cass., Sez. 5, n. 13252 del 04/03/2021).
Inoltre, secondo la giurisprudenza più risalente, ma mai oggetto di revirement, della Corte di legittimità, “in tema di diffamazione, la reputazione non si identifica con la considerazione che ciascuno ha di sè o con il semplice amor proprio, ma con il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico” (cfr. Cass., Sez. 5, n. 3247 del 28/02/1995) e che “l’intento diffamatorio può essere raggiunto anche con mezzi indiretti e mediante subdole allusioni e pure in questa forma deve essere penalmente represso” (Cass., Sez. 5, n. 4384 del 07/02/1991).
Sotto il profilo della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato considerato che, “in tema di diffamazione, l’esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione, ma non vieta l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico in quanto non hanno adeguati equivalenti” (Cass., Sez. 5, n. 15089 del 29/11/2019), si osserva che nel caso di specie, ovvero nella comunicazione in contestazione le espressioni adottate risultano pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine di manifestare il proprio dissenso.
Ciò posto, non è, invece, possibile ritenere configurabile la scriminante di cui all’art. 51 C.p. del legittimo esercizio del diritto di critica, in quanto non sono ravvisabili, nel caso di specie, i presupposti di tale causa di giustificazione quali la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica e la c.d. continenza, ossia l’uso di modalità espressive che siano proporzionate e funzionali all’opinione dissenziente manifestata (ex multis, Cass., Sez. 5, n. 7751 del 04/11/2014; Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014; Sez. 5, n. 11950 del 08/02/2005).
Sul tema, si ricorda che, in materia di diffamazione, il requisito della continenza, al fine di ravvisare la sussistenza dell’esimente di cui all’art. 51 C.p., ha necessariamente il carattere dell’elasticità (cfr. Cass., Sez. 5, n. 11950 del 08/02/2005) e, pertanto, al fine di ritenere o meno proporzionalmente e/o funzionalmente eccedenti i limiti del diritto di critica in relazione a tale requisito, occorre compiere non solo in astratto, ma soprattutto in concreto un ragionamento di tipo critico-logico che tenga conto di una serie di “parametri” quali, non solo il tenore letterale delle espressioni rese (che ben potrebbero essere poste con coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale), ma anche il concetto o messaggio che si vuole esprimere o trasmettere, il contesto dialettico in cui le stesse dichiarazioni vengono rese (es. in occasione di una discussione o in sede di dibattito) e le modalità con cui esse sono manifestate e/o reiterate.
Corte di Cassazione Sez. 5 n. 12186 Anno 2022