La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la detenzione del bene immobile, adibita a casa di abitazione, nell’ambito del rapporto di convivenza “more uxorio”, caratterizzato da apprezzabile stabilità, tale da legittimare il godimento del bene anche dopo il decesso del convivente, proprietario del bene medesimo.
La giurisprudenza di legittimità afferma che la convivenza “more uxorio“, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, con la conseguenza che l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta da terzi e finanche dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio.
Tale situazione giuridica non immuta, tuttavia, al regime legale della detenzione del bene, in quanto riconducibile ad un diritto personale di godimento che viene acquistato dal convivente in dipendenza del titolo giuridico individuato dall’ordinamento nella comunanza di vita attuata anche mediante la coabitazione, ossia attraverso la destinazione dell’immobile all’uso abitativo dei conviventi, sicchè, in tanto la detenzione qualificata del convivente non proprietario né possessore, è esercitabile ed opponibile ai terzi, in quanto permanga il titolo da cui deriva e cioè in quanto perduri la convivenza “more uxorio”.
Ne segue che una volta venuto meno il titolo, per cessazione della convivenza, dovuta a libera scelta delle parti ovvero in conseguenza del decesso del convivente proprietario-possessore, si estingue anche il diritto avente ad oggetto la detenzione del bene, sicchè la protrazione della relazione di fatto tra il bene ed il convivente (già detentore qualificato) superstite, potrà ritenersi legittima soltanto in determinati casi:
a) eventuale istituzione del convivente superstite come coerede o legatario dell’immobile in virtù di disposizione testamentaria;
b) costituzione di un nuovo e diverso titolo di detenzione da parte degli eredi del convivente proprietario.
Né appare configurabile una lesione del principio di pari trattamento di situazioni identiche nella omessa estensione anche al convivente more uxorio del diritto di abitazione e di uso previsto dall’art. 540 C.c. (Riserva a favore del coniuge), in considerazione del differente presupposto della successione mortis causa cui si ricollega l’applicazione di tale norma: “i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, attribuiti al coniuge dall’art. 540, secondo comma, C.c., sono oggetto di una vocazione a titolo particolare collegata alla vocazione (a titolo universale) a una quota di eredità, cioè presuppongono nel legatario la qualità di legittimario al quale la legge riserva una quota di eredità. Tale collegamento, per cui i detti diritti formano un’appendice della legittima in quota, si spiega sul riflesso che oggetto della tutela dell’art. 540, secondo comma, non è il bisogno dell’alloggio (che da questa norma riceve protezione solo in via indiretta ed eventuale), ma sono altri interessi di natura non patrimoniale, riconoscibili solo in connessione con la qualità di erede del coniuge, quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio, con conseguente inapplicabilità, tra l’altro, dell’art. 1022 C.c., che regola l’ampiezza del diritto di abitazione in rapporto al bisogno dell’abitatore. ” (Corte costituzionale, sentenza 26.5.1989 n. 310).
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 3 Num. 10377 Anno 2017