La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di precisare che il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite (art. 540 C.c., comma 2), ha ad oggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare.
Deve premettersi che, ai sensi dell’art. 540 C.c., al coniuge è riservata, a titolo di legittima, una quota pari alla metà del patrimonio dell’altro, salve le disposizioni dettate in caso di concorso con i figli dal successivo art. 542 c.c., il quale prevede in favore del coniuge la riserva della quota di un terzo, in caso di un solo figlio, e di un quarto in caso di più figli.
In ogni caso, ai sensi del secondo comma dello stesso art. 540 C.c., al coniuge superstite sono riservati il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Poiché, dunque, l’oggetto del diritto di abitazione mortis causa coincide con la casa adibita a residenza familiare, esso si identifica con l’immobile in cui i coniugi, secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi, vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare.
E invero, le espressioni usate dall’art. 540 C.c., comma secondo,: “…diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano ….” non lasciano al riguardo spazi a dubbi interpretativi.
Il diritto de quo (introdotto con la riforma di cui alla legge 19 maggio 1975 n.151), che spetta per legge al coniuge superstite ex lege, sorge chiaramente in esclusivo riferimento alla casa che dai coniugi era stata adibita a residenza familiare (dove il concetto di residenza, di cui all’art. 43, comma secondo, C.c., richiama la effettività della dimora abituale nella casa coniugale).
Il contenuto del diritto in discorso viene poi completato dal diritto di uso sui mobili che corredano la casa coniugale, dove il corredare sta univocamente a significare che si riferisce alla destinazione in atto dei mobili di arredamento.
Secondo l’opinione prevalente, la ratio della suddetta normativa è da rinvenire nella tutela non tanto dell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare.
In proposito, è stato autorevolmente rilevato che oggetto della tutela dell’art. 540, secondo comma, C.c., non è il bisogno dell’alloggio (che da questa norma riceve protezione solo in via indiretta ed eventuale), ma altri interessi di natura non patrimoniale, riconoscibili solo in connessione con la qualità di erede del coniuge, quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali con conseguente inapplicabilità, tra l’altro, dell’art. 1022 C.c., che regola l’ampiezza del diritto di abitazione in rapporto al bisogno dell’abitatore.
Fatte queste puntualizzazioni riguardo alla natura ed all’ampiezza del diritto di abitazione previsto dal citato art. 540 C.c., si rileva che l’art. 548 primo comma C.c. equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato.
La formulazione di tale ultima norma lascerebbe intendere, a una prima lettura, che anche in favore del coniuge separato senza addebito debbano riconoscersi i diritti di abitazione e di uso di cui al secondo comma dell’art. 540 C.c.
In conformità del prevalente orientamento della dottrina, tuttavia, deve ritenersi che, in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare faccia venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola.
Se, infatti, per le ragioni esposte, il diritto di abitazione (e il correlato diritto d’uso sui mobili) in favore del coniuge superstite può avere ad oggetto esclusivamente l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del “de cuius” come residenza familiare, è evidente che l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi.
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 2 Num. 13407 Anno 2014