La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la tematica inerente la contraffazione, con riferimento all’art. 473 C.p. ” Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni” e all’art. 474 C.p. “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi” e in relazione al principio di confondibilità e alle modalità di comparazione dei marchi.
Tali due condotte consistono, rispettivamente, nella riproduzione integrale o nella riproduzione parziale del marchio originale, con la precisazione che, in tale ultimo caso, la riproduzione deve essere di consistenza comunque idonea a creare la confusione con il marchio originale (Cass., Sez. 5, n. 38068 del 09/03/2006).
Il principio di confondibilità affermato dal richiamato orientamento giurisprudenziale non va riferito al momento dell’acquisto e alla prospettiva dell’acquirente, ma va verificato nel rapporto di comparazione con il marchio genuino (il bene giuridico protetto in via primaria è la fede pubblica, con la conseguente irrilevanza della idoneità del marchio a confondere l’acquirente).
L’interesse del singolo acquirente, infatti, non rappresenta l’oggetto della tutela giuridica apprestata dalla norma penale di riferimento.
Come affermato, infatti, dal prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’interesse giuridico tutelato dagli artt. 473 e 474, C.p., è innanzitutto la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l’affidamento del singolo, sicché, ai fini dell’integrazione dei reati non è necessaria la realizzazione di una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del Prodotto” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18289 del 27/01/2016; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 28423 del 27/04/2012; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 28423 del 27/04/2012).
Va ulteriormente specificato che “il reato di cui all’art. 473, C.p., ha natura di reato plurioffensivo, destinato a tutelare non solo quel particolare bene giuridico, di natura immateriale e collettiva, rappresentato dalla pubblica fede, ma anche altri beni meritevoli di protezione, quali le privative sui marchi registrati, l’interesse alla regolarità del commercio e dell’industria e, più in generale, l’economia nazionale, secondo una condivisibile tendenza volta ad assicurare effettività ai principi costituzionali in materia di iniziativa economica e di proprietà privata” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18289 del 27/01/2016; sulla portata plurioffensiva dei reati contro la fede pubblica in generale, Cass., Sezioni Unite, Sentenza n. 46982 del 25/10/2007).
Vale, allora, ribadire che “ai fini della configurabilità del reato di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art. 473 C.p.), nessun rilievo spiega la cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che il bene tutelato in via principale e diretta dalla fattispecie incriminatrice, non è la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione. Si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno, similmente a quanto richiesto per l’ipotesi del reato di cui all’art. 474 C.p., considerato che ferma la diversità della condotta caratterizzanti le due fattispecie, la “res” oggetto della condotta è la medesima, di guisa che ricorrendo la “eadem ratio” si applica analogo principio“. (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 10193 del 09/03/2006; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5260 del 11/12/2013).
L’individuazione esclusivamente del marchio oggettivamente inteso quale bene giuridico protetto in via secondaria, importa l’irrilevanza dei contesti commerciali nei quali i prodotti con il marchio contraffatto vengono diffusi ovvero le modalità della loro circolazione.
Con particolare riferimento alle modalità di comparazione dei marchi, al fine della valutazione del requisito della confondibilità inteso nel senso sopra precisato, risulta utile fare riferimento ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, che ha spiegato che “in tema di tutela del marchio, l’apprezzamento sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto … non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo, cioè, all’insieme degli elementi salienti – grafici, fonetici e visivi -, nonché tenendo conto che, ove si tratti di marchio “forte” …, detta tutela si caratterizza per una maggiore incisività, rispetto a quella dei marchi “deboli”, poiché rende illegittime
le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l’attitudine individuante” (Cass. Civile, Sez. 1, Sentenza, n. 10205 del 18/12/2018; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1249 del 18/01/2013; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4405 del 28/02/2006; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17671 del 29/07/2009).