La configurabilità del reato di diffamazione si realizza in relazione al requisito della plurima comunicazione dello scritto diffamatorio a più persone (almeno due) oltre al diffamato, nonché alla necessità che vi sia prova dell’effettiva cognizione di tale scritto da parte di questi ultimi.
Ebbene, è opinione dominante in giurisprudenza che, avuto riguardo a talune categorie di destinatari, l’invio di una missiva denigratoria renda di per sé esistente il requisito della comunicazione con più persone, poiché la destinazione alla divulgazione può trovare il suo fondamento oltre che nella esplicita volontà del mittente-autore, anche nella natura stessa della comunicazione, in quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario, amministrativo, disciplinare), che deve essere portato a conoscenza di altre persone, diverse dall’immediato destinatario, ferma la necessaria prevedibilità ovvero la volontarietà, da parte dell’autore, della circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi (Cass., Sez. 5, n. 26560 del 29/9/2014; Cass., Sez. 5, n. 23222 del 6/4/2011).
Tali condizioni si verificano, ad esempio, in caso di invio ad ordini professionali, in persona di loro rappresentanti istituzionali, ovvero a dirigenti della pubblica amministrazione, di missive dal contenuto atto a sollecitare un intervento disciplinare, oppure costituenti vera e propria denuncia, oppure in caso di comunicazioni o denunce dirette ad organi giudiziari (Procuratore della Repubblica, Presidente del Tribunale o altro): cfr., per alcune fattispecie, tra le altre, Cass., Sez. 5, n. 34831 del 23/10/2020; Sez. 5, n. 30727 del 8/3/2019; Sez. 1, n. 27624 del 30/5/2007.
Il nucleo comune di tali decisioni si ritrova nella constatazione dell’inevitabile conoscibilità di comunicazioni indirizzate a destinatari titolari di qualifiche peculiari, private o pubbliche che siano, anche da parte di altre persone, oltre al destinatario (dagli addetti all’apertura ed allo smistamento della corrispondenza agli ulteriori, necessari ricettori della notizia-denuncia dal contenuto diffamatorio, quali i titolari di iniziative amministrative o disciplinari riguardo ai fatti denunciati).
In ipotesi siffatte, ferma la necessità di valutare caso per caso la possibile sussistenza della causa di giustificazione di cui all’art. 51 C.p. o della causa di non punibilità ex art. 598 C.p., la diffusività del messaggio denigratorio ed offensivo contenuto nello scritto è insita nella qualifica del destinatario di essa e nelle sue funzioni (al netto dell’ipotesi di comunicazioni inviate solo in via confidenziale, sulla quale cfr. Cass., Sez. 5, n. 40137 del 24/4/2015).
In quest’ottica, può configurare il reato di diffamazione anche la comunicazione con una
sola persona, se attuata con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri; il che si verifica qualora l’espressione offensiva sia contenuta in un documento che, per sua natura, sia destinato ad essere visionato da più persone (Cass., Sez. 5, n. 522 del 26/5/2016, in una fattispecie relativa a frasi offensive inserite in un vaglia postale; diversamente è opinabile in caso manchi la prevedibilità della diffusione, come nella fattispecie di Cass., Sez. 5, n. 34178 del 10/2/2015).
In una simile cornice ermeneutica, la missiva denigratoria avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio inviata dall’avvocato contemporaneamente al suo assistito, al Presidente del Tribunale di Roma e al giudice di quel Tribunale, autore del provvedimento ritenuto errato, integra il reato di diffamazione e ciò basta a determinarne la conoscibilità anche da parte di terzi, all’interno dello stesso tribunale. (Corte di Cassazione Sez. 5, n. 45249/2021).