Comunicazione asincrona e reato di stalking
L’invio di messaggi di posta elettronica, in quanto comunicazione asincrona sarebbe o meno da solo sufficiente ad integrare il reato di stalking?
Si rileva che il reiterato invio di messaggi di posta elettronica, contenenti insulti e minacce, costituisce una condotta invasiva, idonea a determinare uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, nella specie individuato nel timore della persona offesa per l’incolumità propria e dei propri familiari.
Differenza dal reato di molestie
A sostegno di questa conclusione, va, in primo luogo, affermato che non si può assimilare il reato
di stalking a quello di molestie ex art. 660 cod. pen.
Come ben chiarito da Cass., Sez. 5, n. 12528 del 14/01/2016 le due fattispecie hanno una diversa oggettività giuridica e presidiano beni diversi, sicché non vi è alcuna implicazione reciproca. Se ne ricava che una cosa è la possibilità che condotte moleste nel senso penalistico del termine possano anche costituire uno dei segmenti della condotta persecutoria, altra cosa è richiedere, per l’integrazione del delitto di stalking, che le condotte invasive debbano rispettare i parametri nomativi di cui all’art. 660 cod. pen., che potrebbero anche non ricorrere senza che questo ne sminuisca la portata assillante quali segmenti della condotta complessiva. E’ questa la ragione per cui non vi è una totale assimilabilità della comunicazione a mezzo posta elettronica all’utilizzo del telefono. Quest’ultimo, come modalità di veicolazione delle molestie, è, infatti, parte della condotta testualmente prevista nella disposizione contravvenzionale e ne costituisce connotazione modale, ma è estranea al delitto di atti persecutori, che può riguardare qualsiasi condotta, comunque caratterizzata, che sia dotata di una portata invasiva e persecutoria.
Ne discende che non può essere condiviso l’enunciato critico secondo cui l’invio di messaggi di posta elettronica non avrebbe natura invasiva.
L’attuale diffusione, massiccia e capillare, di questo sistema di comunicazione, adoperato sia per i propri contatti personali che per quelli professionali, ne fa una modalità relazionale che, al pari di altre fondate sull’utilizzo della piattaforma internet, è diventata parte integrante della quotidianità delle persone, anche grazie al fatto che l’accesso alla propria casella di posta elettronica è oggi possibile dai moderni smartphone e tablet e non richiede neanche di utilizzare necessariamente un personal computer.
Di questa evoluzione dei costumi e, in particolare, dei sistemi attraverso i quali le persone comunicano tra loro, l’interprete non può non tenere conto, nel misurare il grado di invasività di una condotta minatoria o ingiuriosa che venga portata alla vittima attraverso l’invio di email. In quest’ottica, l’invio ripetuto, anche da indirizzi diversi di posta elettronica, di mali dal contenuto gravemente offensivo e minatorio nei confronti della persona offesa, costretta a subire una mole di messaggi di tal fatta, costituisce non solo una condotta assimilabile a quella prevista nella fattispecie penale di cui all’art. 612-bis cod. pen., ma anche un contegno idoneo a determinare uno degli eventi previsti dalla fattispecie. Nel senso della possibilità che messaggi e mail possano veicolare condotte persecutorie si è d’altra parta già espressa la Corte (Sez. 6, n. 32404 del 16/07/2010), laddove ha ritenuto che integra l’elemento materiale del delitto di atti persecutori il reiterato invio alla persona offesa anche di messaggi di posta elettronica.
La tesi secondo cui le comunicazioni asincrone, come la mail non avrebbero portata persecutoria perché il destinatario potrebbe cancellarle o evitare di leggerle non può avere seguito. L’invasività di una condotta non è data, infatti, dall’effettiva o potenziale possibilità che la persona offesa attui dei meccanismi di difesa per arginarne gli effetti, perché, se e quando ciò avvenga, la condotta ha già esaurito la propria portata violativa dell’altrui sfera individuale, sfera individuale vieppiù pregiudicata dal fatto di dover predisporre dei meccanismi di difesa. Al danno della ricezione di una pluralità di mail contenenti insulti e minacce, si aggiunge peraltro anche quello di dover effettuare — nell’ambito del complesso di messaggi in entrata nella propria casella — una cernita prima di comprendere la destinazione da dare loro, venendo così pregiudicata ulteriormente la propria libertà morale.
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 5 n. 1223 del 2021