La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la corretta qualificazione e distinzione tra il comportamento omissivo e commissivo.
Invero, preliminarmente occorre affermare che la esatta distinzione tra comportamento omissivo e commissivo viaggia su un confine difficile in concreto da determinare, in relazione alla singola fattispecie concreta.
D’ altronde, è ormai pacificamente riconosciuto nell’ ambito della giurisprudenza di legittimità e di merito, che i due tipi di comportamento, omissivo e commissivo, sono nella realtà strettamente connessi o meglio definiti quale l’ uno speculare all’ altro, dato che nel violare le regole di comune prudenza il soggetto non è evidentemente inerte ma tiene un comportamento diverso da quello che avrebbe dovuto tenere.
Peraltro entrambi, sia il comportamento omissivo e quello commissivo, sono sottoposti a regole identiche in ordine all’accertamento della responsabilità e la distinzione attiene soltanto alla necessità, in caso di comportamento omissivo, di fare ricorso per verificare la sussistenza del nesso di causalità, ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico (dandosi per verificato il comportamento invece omesso), anziché fondato sui dati della realtà.
E’ dunque evidente che il comportamento omissivo non può essere inteso in senso assoluto, nel senso cioè di ritenerlo sussistente solo nel caso di assoluta mancanza di azione da parte del soggetto agente, ma esso è comprensivo anche dei casi in cui il soggetto pone in essere un comportamento diverso da quello dovuto, da quello che sarebbe stato doveroso secondo le regole della comune prudenza, perizia e attenzione.
Ed infatti, è solo con riferimento alle regole cautelari inosservate che può formularsi un concreto rimprovero nei confronti del soggetto agente e verificarsi, con giudizio controfattuale ipotetico, la sussistenza del nesso di causalità.
Corte di Cassazione Sezione 4^ Penale sentenza 15 Novembre 2005