La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la competenza territoriale nel reato di diffamazione commesso a mezzo internet, secondo i criteri suppletivi di cui all’articolo 9 del codice di procedura penale.
Nel reato di diffamazione commesso a mezzo internet non è semplice individuare la competenza territoriale e, ne consegue, che la regola generale di cui all’art. 8 C.p.P. “La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato” viene integrata con le disposizioni di cui all’art. 9 Codice di procedura penale che nel primo e secondo comma afferma che “Se la competenza non può essere determinata a norma dell’articolo 8, è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione. Se non è noto il luogo indicato nel comma 1, la competenza appartiene successivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell’imputato“.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte sottolineato come per i reati di diffamazione commessi a mezzo internet sia normalmente impossibile stabilire il luogo del commesso reato; in quanto reato di evento, la diffamazione si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono la espressione ingiuriosa, ma non è sempre possibile l’individuazione del soggetto che per secondo (così integrando il requisito della comunicazione con più persone) legge l’articolo diffamatorio (giacchè non è sufficiente la connessione al sito internet che ospita il blog, dovendosi verificare un fatto puramente soggettivo e cioè l’effettiva percezione della comunicazione offensiva).
Ne consegue che se è individuabile il luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione (l’ultima individuabile), è colà che si determina la competenza territoriale per il giudizio.
Ma tale luogo potrebbe individuarsi in quello in cui si trovano i server sui quali è stato caricato l’articolo diffamatorio?
A tal proposito, per l’individuazione del luogo in cui tale azione deve ritenersi verificata, dato che la rete internet è in un certo senso ubiqua, una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di legittimità ha tracciato un importante punto di riferimento, affermando che quando un soggetto accede ad un sistema informatico, il luogo del fatto deve individuarsi non nella allocazione fisica del server host, bensì laddove il soggetto, dotato di un hardware in grado di collegarsi con la rete, effettui l’accesso in remoto (Cass., Sez. U. n. 17325 del 26/03/2015).
I criteri enunciati dal supremo Collegio ben possono essere mutuati per il caso di upload di un articolo a contenuto diffamatorio, che pertanto deve ritenersi effettuato non nel luogo dove si trova l’elaboratore elettronico che conserva e rende disponibili i dati per l’accesso degli utenti, bensì nel luogo in cui il caricamento del dato “informatico” viene effettivamente eseguito.
La Corte enuncia, di conseguenza, il seguente principio di diritto: “Nei reati di diffamazione commessi a mezzo della rete internet, ove sia impossibile individuare il luogo di consumazione del reato e sia invece possibile individuare il luogo in remoto in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato, tale criterio di collegamento, in quanto prioritario rispetto a quello di cui al comma II dell’art. 9 C.p.P., deve prevalere su quest’ultimo, cosicchè la competenza risulta individuabile con riferimento al luogo fisico ove viene effettuato l’accesso alla rete per il caricamento dei dati sul server“.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 31677 Anno 2015