Commento satirico, quale limiti?
Nel caso di specie il collegamento fra il commento satirico ed i fatti reali avveniva nell’ambito della diffusione televisiva di una trasmissione ove era stato posto in risalto il collegamento fra il morbo della mucca pazza e l’ingente quantitativo di carne avariata rinvenuta dentro i capannoni della società ricorrente, fatto che era stato oggetto di una inchiesta giudiziaria.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che “la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato“. (cfr. Cass. 6919/2018).
Nel caso di specie i giudici d’appello hanno fatto corretta applicazione di tale principio in quanto, nel condividere, sul punto, la valutazione del Tribunale sulla configurabilità della scriminante del diritto di critica e del diritto di satira hanno valorizzato il collegamento fra i fatti veri imputati alla penale responsabilità della società (e cioè il rinvenimento della carne avariata) con il morbo BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy) all’interno del perimetro della “ricostruzione paradossale” ed hanno affermando che il messaggio veicolato ai telespettatori assumeva una valenza satirica proprio attraverso la grottesca presentazione di un escremento, accompagnata dalle frasi ironiche riportate: in tale situazione, dunque, la Corte territoriale, lungi dal violare le disposizioni sopra indicate ed il “limite della verità“, è rimasta nei confini dei parametri di legittimità proprio attraverso l’utilizzo del paradosso che consente al pubblico di percepire il messaggio oggetto di comunicazione, attivando nel contempo tutti gli strumenti cognitivi per non darvi credito.
Corte di Cassazione, Sez. III Civile, ordinanza 22 novembre 2018, n. 30193