Com’io volevo esser solo. “Uno, nessuno, centomila”
Io volevo esser solo in un modo affatto insolito, nuovo. Tutt’al contrario di quel che pensate voi: cioè senza me e appunto con un estraneo attorno.
Vi sembra già questo un primo segno di pazzia?
Forse perché non riflettete bene.
Poteva già essere in me la pazzia, non nego, ma vi prego di credere che l’unico modo d’esser soli veramente è questo che vi dico io.
La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, è soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, cosí che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un’incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l’intimità stessa della vostra coscienza. La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi.
(cit. Uno, Nessuno, Centomila, 1926 romanzo di Luigi Pirandello)
Un capolavoro unico dove lo sgretolamento della personalità dell’essere umano è il tema centrale, che Luigi Pirandello riesce a rappresentare con assoluto umorismo, contorniato da una vena a tratti sarcastica.
L’opera è incentrata su un unico personaggio, Vitangelo Moscarda, il classico uomo medio, rappresentato in un continuo dualismo tra la realtà e l’apparenza, tra le abitudini e le convenzioni.
Vitangelo Moscarda è un uomo emblematico, raggomitolato all’ interno del suo dramma, del suo passato e del suo presente. Vorrebbe essere Uno, ovvero essere riconosciuto dagli altri, in primis dalla moglie, con la sua personalità, unica e particolare. La proiezione verso il mondo esterno lo fa diventare Centomila: gli occhi degli altri lo fanno divenire un uomo sempre diverso, in continuo mutamento. Riesce a sottrarsi dall’enigma accettando di essere Nessuno, un anonimo, ovvero rinunciando alla sua personalità presente e rinunciando ad acquisirne una per il futuro.