Colluttazione con caduta della donna dal balcone dell’abitazione
La vicenda – nel suo nucleo essenziale un tipico “femminicidio“, essendo stata motivata da conflittualità e dinamiche di gelosia nell’ambito della relazione sentimentale tra l’imputato e la vittima – era avvenuta a seguito di una colluttazione tra i due conviventi, conclusasi con una caduta della donna dal balcone dell’abitazione, sita al quarto piano dello stabile, a causa di una spinta dell’imputato che determinava il decesso della vittima per effetto di politrauma con prevalente trauma cranio-encefalico.
In merito alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto si è rilevato anche che l’animus necandi sotto il profilo del dolo eventuale è stato espresso dal comportamento dell’imputato, che spingeva giù dal balcone posto al quarto piano dello stabile la sua compagna, in un accesso d’ira nel corso di una lite, condotta senz’altro sintomatica dell’accettazione del rischio della sua morte.
Sempre in merito al caso in esame si è dedotto il tema della qualificazione giuridica del reato, se lo stesso fosse inquadrabile nell’omicidio preterintenzionale ex art. 584 cod. pen., in considerazione dell’assenza dell’intenzione di uccidere.
In stretta connessione con le osservazioni da ultimo espresse in merito al dolo, tale critica deve essere disattesa, rimanendo inquadrabile la condotta nel delitto di omicidio volontario.
È noto che il criterio distintivo tra l’omicidio preterintenzionale e l’omicidio volontario risiede nel fatto che, nel primo caso, la volontà dell’agente esclude ogni previsione dell’evento morte, mentre, nel secondo, la previsione dell’evento è necessaria e deve essere accertata in concreto, non essendo sufficiente la semplice prevedibilità dello stesso (Cass., Sez. 1, n. 4425 del 05/12/2013, dep. 2014, Cutrufello e altri, Rv. 259014; Sez. 1, n. 3619 del 22/12/2017, dep. 2018, Marini e altri, Rv. 272050).
Le modalità accertate nella vicenda processuale in esame non lasciano dubbi in ordine al dolo, quanto meno eventuale, dell’imputato che – a seguito della violenta lite con la convivente – la defenestrava da un’altezza tale da fare ritenere pressocché certa la morte della vittima.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 1 n. 34020 del 2022