Avveramento della condizione
(Art. 1359 Codice Civile)
La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa
Il tema, non particolarmente approfondito in giurisprudenza, ma tuttavia esplorato dalla dottrina anche in epoca anteriore all’entrata in vigore del vigente codice civile, concerne la rilevanza del venir meno dell’evento condizionale dopo il suo avveramento o del verificarsi dello stesso dopo il suo mancamento: nella specie rileva la circostanza dedotta da parte ricorrente del fatto che, verificatasi la condizione sospensiva cui le parti avevano condizionato il patto di vendita del bene comune, siano sopraggiunte delle vicende che conducono al venir meno dell’evento o meglio, ricreano la situazione preesistente all’avveramento della condizione.
L’opinione prevalente in dottrina depone a favore della soluzione dell’irrilevanza delle vicende sopravvenute, e ciò in applicazione del brocardo “condicio semel impleta non resumitur, condicio quae deficit non restauratur“.
Il tema è stato indagato anche dalla dottrina successiva e mentre alcuni autori hanno reputato necessario distinguere tra l’ipotesi in cui l’evento condizionale sia costituto da un atto giuridico (ipotesi nella quale le vicende che rimuovono l’atto, come revoche annullamenti, ecc. incidono anche sull’avveramento della condizione) e quelle in cui sia un fatto, ove invece ogni sopravvenienza è irrilevante, altri autori hanno sottolineato invece la necessità di dover indagare le peculiarità del singolo caso concreto di volta in volta alla luce della volontà delle parti, ben potendo l’autonomia dei contraenti pervenire alla soluzione di
considerare rilevanti, in tutto o in parte, gli avvenimenti, successivi all’avveramento della condizione, idonei ad influire sulla permanenza dell’evento condizionale.
Altra parte della dottrina, inoltre, suggerisce l’opportunità di tenere conto del fatto che il venir meno dell’evento successivo alla sua verificazione possa essere stato conseguenza delle scelte di una delle parti, titolare di un interesse contrario all’avveramento della condizione, poichè in tal caso sarebbe possibile fare ricorso alla previsione di cui all’art. 1359 c.c., imponendo di dover ritenere avverata la condizione, allorchè l’evento, inizialmente verificatosi, sia stato rimosso da uno dei contraenti per assecondare il proprio interesse in danno della controparte.
Va a tal fine ricordato che, secondo la risalente giurisprudenza di legittimità, anche l’accertamento in ordine al verificarsi di un evento dedotto in condizione costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito, sottratto ad ogni sindacato di legittimità, ove sorretto da congrua motivazione (Cass. n. 3458/1980).
Inoltre, costituisce principio di diritto del tutto consolidato presso la Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore
all’art. 1362 c.c. e ss., e sulla (in) coerenza e (il)logicità della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465): l’indagine ermeneutica è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione.
In particolare, è stato precisato che in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – si risolve nell’applicazione di norme giuridiche, anche straniere, se ne è allegata e provata la riferibilità al contratto ed il relativo contenuto, potendo pertanto formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo. (Cass. n. 3115/2021 e sempre tra le più recenti Cass. n. 9996/2019).
Corte di Cassazione, Ordinanza n. 34861, del 25.11.2022