L’alterazione delle abitudini di vita si colloca tra gli eventi, alternativamente previsti dall’art. 612 bis C.p., comma 1, il cui verificarsi è indispensabile per l’integrazione della fattispecie delittuosa di “atti persecutori“.
Invero, il suddetto evento è riconducibile ad uno specifico dato concreto, consistente nel fatto che la persona offesa sia costretta, come conseguenza delle condotte persecutorie, a una alterazione delle proprie abitudini di vita, sicché, alla stregua del principio di offensività, va operata una interpretazione restrittiva della norma, escludendo dalla rilevanza penale quei fatti solo percepiti dalla vittima come fastidiosi, quand’anche l’abbiano portata a dei piccoli, ma irrilevanti cambiamenti delle abitudini di vita.
Va detto, peraltro, che, ai fini dell’individuazione dell’evento alterazione o cambiamento delle abitudini di vita, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate (Cass., Sez. 5, n. 24021 del 29/04/2014).
Il delitto previsto dall’art. 612-bis C.p. ha natura di reato abituale e di danno ed è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice, nonché dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, il quale deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicché ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento (in tal senso, tra le più recenti massimate, Cass., Sez. 5, n. 15651 del 10/02/2020; Cass., Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019).
Trattandosi di reato abituale, è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tal senso l’essenza dell’incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo.
È dunque l’atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l’appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato. In tale ottica il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato in più occasioni e a seguito della consumazione di singoli atti persecutori è non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è finalizzata, giacché alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano.
In ragione di tali elementi caratterizzanti la fattispecie in esame, si è affermato che il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all’art. 660 C.p. consiste proprio nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie (si veda, tra le tante, Cass., Sez. 6, n. 23375 del 10/07/2020); pertanto, il delitto di cui all’art. 612-bis C.p. si configura solo qualora le condotte molestatrici siano idonee causare uno degli eventi alternativi previsti dalla norma: un evento di “danno“, consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero (appunto alternativamente) un evento di “pericolo“, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Cass., Sez. 3, n. 9222 del 16/01/2015).
È necessario, quindi, precisare in che termini si sia manifestata l’alterazione delle abitudini di vita della vittima e illustrare il ragionamento eziologico all’esito del quale detta alterazione risulta conseguenza apprezzabile e inevitabile della condotta persecutoria, in ossequio ai principi di tassatività e determinatezza che governano la fattispecie penale.
Invero, in via astratta il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in cui restano assorbiti solo quei fatti che, pur costituendo astrattamente di per sé reato, rappresentino elementi costitutivi o circostanze aggravanti di esso e non anche quelli che eccedano tali limiti, dando vita a responsabilità autonoma e concorrente (Cass., Sez. 5, n. 20696 del 29/01/2016).
Giova in proposito ricordare che con l’introduzione della fattispecie di cui all’art. 612-bis C.p. il legislatore ha voluto, prendendo spunto dalla disciplina di altri ordinamenti, colmare un vuoto di tutela ritenuto inaccettabile rispetto a condotte che, ancorché non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima.
Il legislatore ha preso atto però che la violenza spesso è l’esito di una pregressa condotta persecutoria; pertanto, mediante l’incriminazione degli atti persecutori si è inteso in qualche modo anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità fisio-psichica attraverso l’individuazione di condotte che, precedentemente, parevano sostanzialmente inoffensive e, dunque, non sussumibili in alcuna fattispecie penalmente rilevante o in fattispecie per così dire minori, quali la minaccia o la molestia alle persone.
Va ulteriormente evidenziato in diritto che il reato di atti persecutori può concorrere con altre fattispecie di reato, che tutelano beni giuridici diversi da quello finalizzato alla protezione del singolo da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, ovvero costringendo a modificare comportamenti ed abitudini di vita (per questo, può dirsi che il reato di cui all’art. 612-bis C.p. è rivolto alla tutela della persona nel suo insieme, piuttosto che della sola libertà morale).
Partendo da tale assunto, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto configurabile il concorso tra il reato di violenza privata e quello di atti persecutori, proprio perché si tratta di reati che tutelano beni giuridici diversi, “in quanto l’art. 610 c.p. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, ovvero la libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione; mentre l’art. 612 bis c.p. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica – ed in definitiva della persona nel suo insieme – che costituisce condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della predetta volontà” (così Cass., Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014).
Così pure si è ritenuto che il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di diffamazione anche quando la condotta diffamatoria costituisce una delle molestie costitutive del reato previsto dall’art. 612 bis C.p. (Cass., Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014).
Ed ancora, si è affermato che anche la contravvenzione di cui all’art. 660 C.p., che mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata, integra fattispecie distinta, autonoma e concorrente rispetto al reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis C.p. in cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati (Cass., Sez. 1, n. 19924 del 04/04/2014).
Ne deriva che può configurarsi anche il concorso tra il reato di atti persecutori e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, giacché quest’ultimo certamente contempla un bene giuridico diverso, in quanto finalizzato a tutelare l’interesse dello Stato ad impedire che la privata violenza si sostituisca all’esercizio della funzione giurisdizionale in occasione dell’insorgere di una controversia. Infatti, ciò che caratterizza i reati di cui agli artt. 392 e 393 C.p. è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato e la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico (ex multis, Cass., Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014).
Corte di Cassazione, Sez. V, n. 1541/2021