Allontanamento dalla casa familiare
Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
Da un punto di vista strettamente testuale, va evidenziata la formula volutamente aperta utilizzata dal legislatore del 2001 (che ha introdotto nel codice di rito l’art. 282-bis, cit.), nell’intento di creare un precetto capace di adattarsi alle dinamiche familiari, naturalmente mutevoli e legate ad una molteplicità di variabili (ragioni economiche, lavorative, di salute, ma anche esigenze di figli ed altri familiari, conviventi o meno): in questo senso si spiega perché, nel dare facoltà al giudice di imporre quelle prescrizioni ulteriori, la norma si limiti a dire che esso «prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni».
Quanto, poi, alla ratto della disciplina, sarebbe francamente singolare ed irrazionale la previsione, a protezione della persona offesa dal pericolo di eventuali comportamenti aggressivi ulteriori del soggetto maltrattante, della possibilità di disporre il divieto di avvicinamento di quest’ultimo ai luoghi abitualmente frequentati da costei e non anche, invece, direttamente alla sua persona al di fuori di quei luoghi.
Né potrebbe condurre a diversa soluzione il fatto che quei contegni si siano manifestati soltanto all’interno dell’abitazione familiare, poiché il pericolo che giustifica la cautela scaturisce dal disequilibrio nei rapporti di forza psicologica tra i partecipi della relazione, che ben può manifestarsi anche al di fuori del luogo in cui questa è destinata per lo più ad esplicarsi. Del resto, è dato di comune esperienza, non solo giudiziaria, quello per cui i comportamenti maltrattanti tra familiari non si verifichino esclusivamente ed indefettibilmente tra le mura domestiche.
In realtà, la successiva introduzione dell’art. 282-ter, avvenuta nel 2009 con la c.d. “legge sullo stalking” (d.l. n. 11, conv. dalla legge n. 38 di quell’anno), che ha previsto espressamente il divieto di avvicinamento alla persona offesa, oltre che ai luoghi da essa abitualmente frequentati (benché la rubrica della norma faccia espresso riferimento esclusivamente a questi ultimi, a riprova del fatto che il più contiene il meno), non è stata determinata dalla necessità di affiancare una tutela “dinamica” accanto a quella “statica” asseritamente garantita dall’art. 282- bis: semplicemente, tale disposizione si è resa necessaria per ampliare la protezione anche alle relazioni non fondate sulla convivenza o, comunque, sulla condivisione della casa familiare, presupposto invece necessario per l’applicazione della misura già esistente dal 2001.
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 6 n. 24351 del 2023