La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente il diritto/dovere del genitore di vigilare sulle comunicazioni del minore.
Nel caso di specie l’imputato era stato condannato per il reato di cui all’art. 617 C.p., avendo egli provveduto a registrare le comunicazioni telefoniche intervenute tra la moglie separata e i propri figli minori a lui affidati.
Innanzi tutto va ricordato come l’art. 617 C.p., contestato all’imputato tuteli la libertà e la riservatezza delle comunicazioni telefoniche o telegrafiche contro la possibilità di indiscrezioni, interruzioni o impedimenti da parte di terzi. In particolare il diritto alla riservatezza della comunicazione o della conversazione implica la possibilità di escludere altri dalla conoscenza del contenuto della medesima e coerentemente la norma incriminatrice menzionata punisce in tal senso anche la condotta di colui che invece ne prenda cognizione senza il consenso dei titolari.
Invero, ancorchè minori, i figli sono soggetti “altri” rispetto al padre e tanto basta per ritenere integrata la condizione di tipicità del fatto. L’eventuale rilevanza degli obblighi di vigilanza del genitore nei confronti dei figli minori può eventualmente dispiegarsi nel momento in cui debba valutarsi l’effettiva antigiuridicità del fatto (sul punto si tornerà successivamente esaminando gli ulteriori motivo del ricorso), ma certo tali obblighi non comportano una sorta di immedesimazione tra padre e figlio come quella prospettata dal ricorrente.
Il requisito espresso di tipicità del fatto è che la comunicazione o la conversazione intervenga tra persone diverse dall’agente. Elemento sussistente nel caso di specie, dove oggetto della illecita presa di cognizione sono le conversazioni telefoniche intervenute tra i figli dell’imputato e la loro madre.
In tal senso va allora osservato come il diritto/dovere di vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore non giustifichi indiscriminatamente qualsiasi altrimenti illecita intrusione nella sfera di riservatezza del primo (espressamente riconosciutagli dall’art. 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dallo Stato italiano con la L. 27 maggio 1991, n. 176), ma solo quelle interferenze che siano determinate da una effettiva necessità, da valutare secondo le concrete circostanze del caso e comunque nell’ottica della tutela dell’interesse preminente del minore e non già di quello del genitore.
Nel caso di specie non è dunque in discussione l’astratta configurabilità di un diritto/dovere del genitore di vigilare sulle comunicazioni del minore a fini educativi o di protezione, quanto la funzionalità nel caso di specie della interferenza nella riservatezza dello stesso minore al perseguimento delle finalità per cui il potere è conferito.
Corte di Cassazione sentenza n. 41192 del 03/10/2014